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26/02/11 L'ultima stazione del mio treno

Disordine

Disordine
Una vita può essere disordinata?

Può essere ordinata?

Una vita può essere tutto quello che vuole. 

Chi la vive, no, può solo sperare di incontrarne una della sua misura.
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22/02/11 L'ultima stazione del mio treno

Tu. Sì.

Tu. Sì.
Le porte dei sogni non esistono. Sii razionale.

I sogni non esistono. Sii razionale.

La fantasia è morta.

I desideri sono stupide appendici di vite impossibili.

La libertà è un concetto astratto.

Il pensiero è solo un passatempo per riempire il rumore sordo del nulla che ti respira dentro.

Tu. Sì, tu. 

Tu che stai ancora leggendo.

Tu che leggi e basta e non ti ribelli.

Tu, lo sai dove cazzo stai andando?
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20/02/11 L'ultima stazione del mio treno

Emotivo

Emotivo

Inutile negarlo.


Trincerarsi dietro invisibilità.


Senza filtri.


Ladro di sensazioni.


Emotivo.

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19/02/11 L'ultima stazione del mio treno

Senza zucchero

Senza zucchero

Seduto ad un tavolo.


Sabato mattina.


Fuori, il sole.


Dentro, stanchi baristi, stanchi clienti, ombrelli aperti.


Com’è la tua vita?


Come il mio caffè.


Davvero?


Sì, senza zucchero, grazie.

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15/02/11 L'ultima stazione del mio treno

Il confine

Il confine





Cammino.


Respiro.


Guardo.


Esisto.


Penso.


Sono un uomo.


Sono una donna.


Sono tutti voi.


Senza mai essere stato me stesso, al di fuori del tratto di una penna.

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14/02/11 L'ultima stazione del mio treno

San Valentino

San Valentino
Vogliamo parlare di Amore? O di amore? Ci sono differenze.  

L’Amore è sentimento, l’amore è un bene di consumo.

L’Amore è passione infinita, condivisione, complementarità, forza, luce nel buio, prospettiva di vita, sacrificio, dialogo, comprensione e coraggio. 

L’amore è sesso, sudore, corsa e rincorsa, carriera, distanza, silenzi, respiri troncati, orgasmi a metà, bambini mai nati, ombra su passi di luce e parole non dette, già parole non dette, cosa ben diversa dai silenzi.

Con tutto il resto mi auguro possiate strozzarvi e che vi vada di traverso.

Molti auguri.
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11/02/11 L'ultima stazione del mio treno

Erronea percezione

Erronea percezione





I passi stanchi sotto i portici.


Lo sguardo perso.


L’ultimo bicchiere bevuto pochi minuti prima in un bar di infimo livello. 


Una sigaretta.


La percezione è quello che ti inganna.


Quello che vedi in realtà non sarà mai quello che pensi.

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03/02/11 L'ultima stazione del mio treno

Liberi aforismi in libero stato

Liberi aforismi in libero stato
“L’attuale stato di irrisoluzione fra noi due ci pone nella sconveniente situazione di non poter programmare nulla, di non capire nulla e, quindi, ci rende avulsi da qualunque inquadramento socio-affettivo.”, “Ma cosa cazzo dici?”,”Hai ragione, sono un folle.”. In un attimo un bacio, uno schiaffo, un bacio, uno schiaffo, un bacio, una schiena contro un muro e due corpi che non ne potevano più di aspettare.
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01/02/11 L'ultima stazione del mio treno

La prima volta

La prima volta
Scrollo alcune gocce di pioggia dal mio cappotto, voglio essere perfetto. I miei passi sono decisi, il mio sguardo è fisso davanti a me. Cammino nella sala principale dell’aeroporto della mia città. Mille volte questo luogo ha visto la mia presenza: voli per New York, Londra, Bruxelles, Parigi, Berlino. Lavoro, meeting internazionali. Oggi, il piacere di essere qui per le cose davvero importanti. Mi chiamo Riccardo e oggi conoscerò Lucy, mia figlia.
Lei, ha sette anni, vive a Parigi con Caroline, sua madre, la mia ex moglie. Questa situazione è figlia di mille errori, di tanti egoismi, di inutili scontri e del buio cieco dell’odio degli uomini.
Mi siedo, aspettando il momento in cui l’aereo da Parigi porterà da me la mia bambina. Mentre chiudo gli occhi e il mio respiro rallenta, sento nella mia tasca interna del cappotto la vibrazione del mio telefono.
Il Blackberry nero mi riporta alle mie responsabilità: il mio ufficio mi sta cercando. Ho un istante di esitazione, il telefono è nelle mie mani. No, oggi no. Non voglio perderla ancora. Rifiuto la chiamata e faccio calare il sipario su tutte le possibili distrazioni.
So che non dovrei, ma mi sento come se oggi fosse il giorno di un esame, come se mi stessi giocando ogni mia possibilità.
La mia inquietudine, ci sarà anche sua madre. Bionda, bellissima, con quella voce dura, il suo accento francese e i modi rapidi. Mi ha sempre messo in soggezione.
Il nostro rapporto non era mai stato un idillio, troppe assenze, presenza vissute nel modo sbagliato, ci siamo lasciati seduti in un piccolo cafè, sulla rive gauche, albeggiava, lei era stanca io dovevo prendere un aereo, come sempre.
Io non sapevo fosse incinta, lei, non lo so, forse il silenzio fu la sua punizione. Spesso le notizie più importanti, quelle che sanno cambiarti la vita, diventano parte di te nelle maniere più inconsuete. Ero nella sua Parigi, il giorno di Natale, stavo comprando il mio regalo (la solitudine comporta inconsuete tradizioni), quando improvvisamente ci siamo scontrati. Lei spingeva un passeggino. Io non ho chiesto, lei non ha detto. Ma già sapevo, o meglio, avevo intuito. Lei che non smentisce le mie affermazioni, i silenzi colpevoli, il mio vedere Lucy solo per un istante.
Dopo mille telefonate incalzanti arrivarono le sue prime ammissioni, la prima volta in cui l’ho sentita cedere, in cui ha provato ad immedesimarsi nella mia condizione, anche se questo suo altruismo, questa sua empatia è durata il tempo di sentire le mie lacrime asciugarsi all’altro capo del telefono.
Le ho chiesto mille volte di poterla vedere, Lucy, ovviamente non volevo rivedere lei, Caroline. Probabilmente sarà un incontro breve, timido, voglio che sia tutto sereno, voglio portarla a vedere i luoghi a me cari, sperando che, un giorno, lo siano anche per lei.
I miei pensieri mi travolgono ma non mi impediscono di osservare il display dei voli e notare che l’aereo Air France da Parigi è appena atterrato. Mi alzo in piedi, di scatto, mi sistemo la cravatta e il cappotto.
La mia frequenza cardiaca aumenta. Ogni volta che la porta scorrevole degli arrivi si apre il mio cuore esplode. Il silenzio avvolge il mio spazio, non sento nulla, riconosco i tacchi di Caroline, il suo modo di camminare.
La porta si apre, vedo lei, bellissima, col suo sguardo duro incrocia i miei occhi, abbozza un sorriso. Si sposta dal centro della sala, come un sipario sul palco per far entrare i protagonisti di un’opera.
Lucy! Bionda, con le sue trecce, con un bellissimo vestito blu, timida, attaccata alla gamba di sua madre.
Gli istanti seguenti sono fotogrammi, un piccolo capolavoro di silenzi: io mi accuccio, lei, fa qualche passo verso di me, ma non sorride.
Io sorrido, emozionato, lei, Caroline è imbarazzata, si scosta, accarezza la piccola Lucy.
Lucy, fa un passo, mi guarda, ora sorride.
P..pa..papà!”.

Lucy, che ha appena camminato nel mio mondo e conosciuto la mia barba dura nel nostro primo abbraccio.
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24/01/11 L'ultima stazione del mio treno

Gabbie

Gabbie
Come poveri idioti. Chiusi. A farci contare. Uno-due-tre-quattro.

Senza numero sulla schiena non ti contano. 

Sii numero e non sarai nessuno. Sii scomodo e sarai solo. Sii solo e sarai mondo.

Sii mondo e cerca un sole. 

Il sole brucia, orbita lontano e non brucerai. 

Tu, in gabbia, non ascoltare. Rimani dove sei. Asteroide.
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Fazzoletto da tasca colorato, occhiali sulla punta del naso per darmi un tono, centomila idee nelle tasche e bollicine nel bicchiere. Questo sono io.
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