Paolo Panzacchi
L'ultima stazione del mio treno

I passeggeri del mese

07/02/16 I passeggeri del mese

I passeggeri del mese: Alessio Romano

I passeggeri del mese: Alessio Romano

Oggi parliamo con grandissimo piacere con Alessio Romano, nato a Pescara nel 1978. Ha studiato a Bologna e presso la Scuola Holden di Torino. Ha esordito con il romanzo “Paradise for all” (Fazi, 2005), giudicato da molti critici come uno dei migliori debutti letterari degli ultimi anni. “Solo sigari quando è festa” (Bompiani 2015) è il suo secondo romanzo.

Chi è Alessio Romano?

La prima risposta che mi viene in mente è questa: un narratore innamorato delle storie.

Il tuo ultimo romanzo è “Solo sigari quando è festa” edito Bompiani. A quanto so è stato un lavoro che ha richiesto una lunga gestazione. Ci puoi raccontare come hai costruito la storia? Il contesto nel quale hai deciso di ambientare il tuo romanzo è una realtà che tu conosci bene, l’Aquila, essendo tu abruzzese, nello specifico hai voluto dare come sfondo alle vicende di Nick e del Ragno il sisma che ha colpito quella terra, come mai questa scelta?

Nella scrittura di “Solo sigari quando è festa” ho voluto cristallizzare su carta delle forti emozioni ed esperienze che sono legate alla tragedia del sisma del 2009. La cosa che più mi ha colpito di quella tragedia (al di là di tutte le tristi storie di malcostume e di alcune tragiche scelte legate alla ricostruzione) è stata proprio quella dell’idea di una morte così improvvisa e assurda, il crollo di ogni certezza, il sentire la terra tremare sotto i piedi, in pochi istanti che possono cancellare ogni cosa. Il genere del thriller (dall’inglese “to thrill”, tremare, rabbrividire), mi è sembrata la scelta più efficace. Il thriller è il genere dove il protagonista rischia di morire e da questo punto di vista può essere piegato in senso esistenziale, come ho cercato di fare io. Ovviamente il romanzo è poi diventato una lunga dichiarazione d’amore per la mia regione, l’Abruzzo, e la sua gente, la sua natura e, perché no?, anche i suoi prodotti gastronomici.

Nel tuo romanzo hai dato molto spazio a Facebook. E’ stata una scelta narrativa o hai voluto lanciare un messaggio specifico? Che rapporto hai con i social media?

Mi premeva raccontare un fenomeno che mi interessa molto. Così è nato Il Ragno, il serial killer che colpisce tramite una richiesta di amicizia in grado di trasformasi in un incubo. Io credo di avere un rapporto tutto sommato “sano” con Facebook (lo uso molto per promuovere la mia attività di scrittore e di organizzatore di eventi culturali, oltre che per tenermi in contatto con amici che lo sono prima di tutto nella vita reale); ma ho sempre di più l’impressione che dietro la diffusione dei social ci sia un problema di esibizionismo; la voglia di trasformare in pubblica la nostra vita privata, rinunciando (senza preoccuparci delle conseguenze) al diritto alla privacy.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ce ne sono davvero molti, tutti più o meno legati alla scrittura. Ma per ora preferisco parlarti dell’unico certo. La pubblicazione, prevista per la prossima primavera, nella collana dei Tascabili Bompiani del mio primo romanzo: Paradise for All, uscito dieci anni fa. È una cosa di cui sono davvero molto orgoglioso e soddisfatto. E anche curioso di riaffrontare e rileggere un testo che non tocco più da così tanti anni. Mi fa uno strano effetto.

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01/02/16 I passeggeri del mese # , , , ,

I passeggeri del mese: Elisa Guidelli

I passeggeri del mese: Elisa Guidelli

Oggi parliamo con grande piacere con Elisa Guidelli, modenese, si dedica a studi classici e si laurea in Storia Medievale, una materia abbastanza inusuale ma affascinante, in particolare in Storia delle Università, con una tesi su un incunabolo inedito del 1492. Ha all’attivo un Corso di Specializzazione Intensiva in Diritto della Comunicazione, dove ha approfondito il diritto privato della comunicazione, con particolare riguardo a quella giornalistica, pubblicitaria e internet. Ha scritto vari romanzi con lo pseudonimo di Eliselle come “Fidanzato in affitto”, “101 modi per diventare bella, milionaria e stronza” entrambi pubblicati da Newton Compton, “Le avventure di una Kitty addicted” edito Leggereditore, i suoi racconti sono presenti in numerose antologie. “Il romanzo di Matilda” uscito per Meridiano Zero è il suo ultimo romanzo.

Chi è Elisa Guidelli?

Lettrice da sempre, libraia da sei anni, scrittrice work in progress. Sono sempre stata appassionata di miti, epica, leggende, fiabe, medioevo, cultura classica, mi sono laureata in storia medievale e da ormai dieci anni e più scrivo racconti e romanzi con pseudonimo o senza. La scrittura fa parte della mia vita fin da quando ero bambina. E sono appassionata di cinema e serial tv, che non manco mai di vedere.

Il tuo ultimo libro è “Il romanzo di Matlida” edito Meridiano Zero, un’opera nella quale hai voluto raccontarci in una chiave non saggistica la figura di Matilde di Canossa, uno dei personaggi fondamentali della storia non solo italiana, ma di tutta l’Europa del medioevo. Cosa ti ha attratto a tal punto da questo personaggio da volerle dedicare questo romanzo? Come hai sviluppato l’attività di ricerca documentale e bibliografica per questo tuo lavoro?

Ero bambina quando ho fatto il mio primo vero incontro con Matilde. Mio padre mi portò a Canossa e fu il primo ad accennarmi alla storia di questa grande signora medievale. Da lì l’immaginazione ha cominciato a correre. Il secondo incontro l’ho fatto da adulta, quando avevo già gli strumenti per studiarlo da sola. Gli studi universitari mi hanno certamente aiutato, ma la bibliografia l’ho cercata in autonomia, in dieci anni circa di lavoro.

Nella tua attività di autrice ti sei dedicata a generi assai diversi tra loro. Hai scritto un noir “Fiabe dall’inferno” e vari libri scritti anche con una chiave ironica davvero personale come “Fidanzato in affitto”, “Le avventure di una Kitty addicted” e molti altri. Hai un genere che prediligi? Come riesci a destreggiarti tra i vari generi letterari?

Non prediligo un genere, di solito scrivo in base al periodo o allo stato d’animo che vivo, per questo i miei romanzi sono spesso differenti. Ho numerose inclinazioni, ma quello che voglio e amo fare è raccontare storie, soffermandomi su quelle che mi interessano di più. La sensibilità a certe tematiche, come le relazioni, costruttive o disfunzionali, mi porta a variare anche di molto le sfumature di scrittura.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Al momento sono in fase ricerca e lettura di un periodo storico e di alcune protagoniste della Storia che, come Matilde, sono state “dimenticate” dai libri e di cui mi piacerebbe raccontare in un romanzo gli eventi drammatici, gli amori e le avventure. È un modo che ho per rimetterle al posto che appartiene loro e che viene tolto arbitrariamente, senza una vera ragione, e con grande ingiustizia.

(foto di Patrizia Cogliati)

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25/01/16 I passeggeri del mese # , , ,

I passeggeri del mese: Fabio Mundadori

I passeggeri del mese: Fabio Mundadori

Oggi parliamo con grande piacere con Fabio Mundadori, bolognese, classe 1966. Ha all’attivo tre romanzi, “Io sono Dorian Dum” e “Occhi viola”, entrambi editi Ego edizioni, “Dove scorre il male” è il suo terzo lavoro edito Damster. Numerosi i suoi racconti pubblicati in varie antologie.

Chi è Fabio Mundadori?

Innanzi tutto grazie per lo spazio che mi dedichi, quanto alla domanda che ne dici se mi faccio presentare da un mio personaggio?
Mundadori sta sulla sedia dietro al tavolo di metallo, la lampada puntata al volto gli permette d’intravedere appena la sagoma del poliziotto di fronte a lui che in piedi sfoglia un dossier
– Fabio Mondadori! Per questo le permettono di scrivere: è un raccomandato.
– Mundadori, con la U.
– Le chiedo scusa se mi sono permesso.
– Ma le pare! Passo metà del mio tempo a correggere chi sbaglia il mio cognome.
– Ovviamente non mi stavo scusando davvero.
– Non avevo dubbi, potrebbe togliermi dalla faccia questa lampada?
– Nemmeno a parlarne, che razza d’interrogatorio sarebbe.
– Di cosa sono accusato?
– Di esistere.
– Ah!
– Vediamo che dice qui: ah perbacco è un informatico.
– Non esattamente: violento server.
– Non si allarghi troppo: problemi di linea vedo che ne ha già a sufficienza.
– Se lo faccia dire: è proprio una sagoma. Sì, comunque mi occupo di sicurezza informatica.
– Sicurezza? Lei? Siamo in una botte di ferro!
– Ma è sicuro di essere un poliziotto e non un cabarettista?
– Per lei sono il commissario Sammarchi.
– Ora mi è chiaro perché se ne sta lì buio, pantaloni arancio o gialli oggi?
– Non si permetta! Non è colpa mia se…
– Lo so, lo so: una moglie dal sonno leggero.
– Sa troppe cose.
– Secondo lei come mai?
– Le domande le faccio io. Forza, cos’è questa storia del morbo di Asimov che ha contratto nell’infanzia.
– Nulla di contagioso.
– Non le ho chiesto questo.
– È un gioco di parole ovviamente: da Isaac Asimov compianto scrittore, di fantascienza ma non solo. Ho amato ogni suo romanzo o racconto, spero un giorno di poter acquisire un decimo della sua padronanza nel raccontare.
– Una missione impossibile.
– Ha qualcuno che le scrive le battute o è così al naturale?
– Dovrebbe saperlo.
– Questo interrogatorio è contro la legge!
– Qui la legge sono io.
– Spettacolare questa frase, vorrei averla scritta io!

Il tuo ultimo romanzo è Dove scrorre il male edito Damster. In questo nuovo lavoro torna il Commissario Sammarchi. Ci regali una storia intensa che si svolge anche tra le macerie di un quartiere, il Q24 e parallelamente a un processo nel quale il protagonista è tra i testimoni. Ci racconti come hai costruito questo lavoro?

L’idea di base è nata quando Alemanno allora sindaco della capitale, in un discorso disse che l’intero quartiere di Tor Bella Monaca andava raso al suolo e ricostruito (era intorno al 2010). Quella frase si agganciò immediatamente a un’idea che avevo in mente da tempo nata a propria volta da un metodo utilizzato in un certo ambito industriale (che non dirò qual è) e che mi sembrava funzionare perfettamente per raccontare una storia di corruzione e malaffare.
Ho dovuto solo inserirci Sammarchi e qualche personaggio convincente, il resto si può leggere nelle pagine del libro.

In questo romanzo davvero avvincente, che non ci concede tregua con i suoi capitoli brevi e affilati, si notano l’amarezza di Sammarchi e la perfetta coesistenza di personaggi senza scrupoli con altri che paiono criminali improvvisati. Vedi dei paralleli con la situazione italiana attuale?

Se ti riferisci alla situazione specifica che riguarda Roma, in effetti sì anche se come ho accennato nella domanda precedente ho pensato questa storia molto molto tempo prima di Mafia capitale ma alla fine credo che scrivere di giallo e soprattutto di noir, sia un modo efficace di raccontare la vita nei suoi tratti essenziali.
Non che le giornate di ognuno siano attraversate da crimini e fatti di sangue, ma se ci pensi la vita quotidiana è la somma delle soluzioni che trovi per i piccoli o i grandi problemi che trovi sulla tua strada. Per questo il giallo è così affascinante perché mette i lettori in modo semplice e diretto davanti a un enigma spingendoli a misurarsi con chi dall’interno della storia deve risolverlo.
Come dice il mio amico e giallista Enrico Luceri, anche dietro i delitti più efferati ci sono delle motivazioni tutto sommato semplici, che vanno ricercate nel passato: denaro, amore, invidia, rancore. La vita insomma.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ho terminato un altro romanzo, un thriller con un commissario che non è Sammarchi, il perché lo scoprirete spero presto. Prima c’è in uscita un racconto con Sammarchi in un antologia davvero prestigiosa, sul finire dell’inverno ne saprete di più. In corso di scrittura c’è il terzo “Sammarchi” e un progetto a quattro mani che procede da tempo ed è ormai in dirittura di arrivo.

(Foto di Cinzia Volpe)

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09/01/16 I passeggeri del mese # , , , , , ,

I passeggeri del mese: Pierluigi Porazzi

I passeggeri del mese: Pierluigi Porazzi

Oggi parliamo con grande piacere con Pierluigi Porazzi, autore friulano, laureato in giurisprudenza, ha conseguito il titolo di avvocato e lavora presso la Regione Friuli-Venezia Giulia. È iscritto all’albo dei giornalisti pubblicisti dal 2003. Suoi racconti sono apparsi su riviste letterarie, in antologie, raccolte e in rete. Fa parte del progetto Sugarpulp. Nel 2010 e nel 2013 ha pubblicato per Marsilio i romanzi “L’ombra del falco”  e “Nemmeno il tempo di sognare”, in seguito usciti anche, rispettivamente, nelle collane “Noir Italia” («Il Sole 24 Ore», 2013) e “Il Giallo Italiano” («Corriere della Sera», 2014). Nel 2015 è uscito, sempre per Marsilio, “Azrael”, il suo ultimo romanzo.

Chi è Pierluigi Porazzi?

Devo dire che, tra tutte, questa è la domanda più difficile. Spesso me lo chiedo anch’io. Senza presunzione, penso di poter dire che sono prima di tutto uno scrittore (pare che dopo aver pubblicato il terzo romanzo si possa ufficialmente dire di esserlo… anche se io mi sono sempre sentito tale, o comunque un artista). Mi riconosco nell’albatro di Baudelaire. Sono rivoluzionario e ribelle, mi sento spesso ingabbiato dalle convenzioni sociali, anche se ormai ho perso la speranza che qualcosa possa cambiare, nel mondo.

Il tuo ultimo libro è Azrael, edito Marsilio. Dopo L’ombra del falco e Nemmeno il tempo di sognare, ritorna Alex Nero. In questo romanzo ci hai regalato una tensione crescente sin dalle prime pagine con dei colpi di scena da vero maestro. Sullo sfondo di una Udine alle prese con un gruppo di naziskin e le difficili tematiche dell’immigrazione si assiste al ritorno del Teschio. Volevo sapere come è nata l’idea di questa nuova trama? Inoltre che rapporto hai con la tua città che hai descritto con grande abilità?

L’idea di Azrael è nata insieme alla sua identità. Per riprendere l’epilogo (aperto) de L’ombra del falco mi serviva una trama forte, che potesse valere la pena sviluppare; non era mia intenzione scrivere un “sequel” a tutti i costi. Quando, circa tre anni dopo l’uscita de L’ombra del falco, ho pensato chi potesse essere Azrael e quali fossero le sue motivazioni, mi sono convinto di aver trovato l’idea giusta. Da qui, dal finale che mi ero immaginato, è nata l’idea di base di Azrael, che poi ho arricchito nel corso della stesura. Per quanto riguarda il mio rapporto con Udine, è la città che amo, una città viva e ricca di fermento, che apprezza l’arte e la cultura.

In Azrael ci sono, oltre ai protagonisti maschili Nero, Barone, Scaffidi e Cavani, dei bellissimi personaggi femminili come Aiko e Barbara Rocco. Hai descritto queste donne sotto un profilo particolare. Ci racconti come hai costruito questi personaggi?

Ho cercato di creare delle figure femminili che fossero al tempo stesso interessanti e realistiche, un po’ come cerco di fare con tutti i personaggi. Aiko rappresenta il lato “dark” dell’universo femminile, è una sorta di “suicide girl”, una ragazza intrigante e misteriosa. Barbara invece è un personaggio più classico e, pur essendo una poliziotta, ho voluto evitare i cliché che spesso vediamo in tv o al cinema, delle poliziotte che sembrano modelle. Ho cercato di farne una donna vera, con i suoi pregi, difetti e fragilità. Non mi piace mai scrivere per stereotipi, e l’universo femminile è così profondo e vasto che non dovrebbe mai essere rappresentato in modo riduttivo o scontato.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Mi auguro di continuare a scrivere e a pubblicare. Al momento sto lavorando a una storia thriller/noir ma con personaggi diversi da quelli di Azrael. Comunque, penserò sicuramente anche a un nuovo romanzo con Nero e c.
Grazie mille per l’intervista!

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01/01/16 I passeggeri del mese # , , , , , ,

I passeggeri del mese: Alberto Petrelli

I passeggeri del mese: Alberto Petrelli

Oggi parliamo con grande piacere con Alberto Petrelli, pugliese, vive a Ferrara, suona il basso nei Blutarsky, ha un gatto nero che si chiama Colonnello Mustard e spende il suo tempo libero guardando serie tv. Ha esordito nell’antologia Serial Kitchen (Cicogna Editore) col racconto La mamma è sempre la mamma. I dolori del giovane imbuto è il suo primo romanzo (Pendragon 2015).

Chi è Alberto Petrelli?

Alberto Petrelli è un serio assicuratore pugliese che si è trasferito a Ferrara 11 anni fa. Poi c’è Albo, che suona, scrive, gozzoviglia e conduce una vita abbastanza discutibile. Possono coesistere due personalità così differenti? Beh, eccovi la prova vivente. (Zan Zan Zaaaaan)

Il tuo primo romanzo è I dolori del giovane imbuto, edito Pendragon nella collana gLam. Ci racconti la storia di Babuz, sceneggiatore di fil porno per una casa cinematografica di un suo vecchio amico. Babuz è un personaggio singolare poiché, non avendo inventiva trae ispirazione dai vecchi Harmony della nonna. Attorno a lui ruotano personaggi sublimi, come Suor Dentona, Zucco e molti altri. Ci racconti come hai avuto questa idea? Com’è nato questo romanzo?

L’idea di base parte da una puntata di Scrubs, una serie tv divertentissima. Nella quarta o quinta stagione, non ricordo bene, Elliot, la protagonista femminile, vive una relazione con un personaggio appena conosciuto che sostiene di amare follemente. Carla, l’infermiera sua migliore amica, le fa notare che non sa nemmeno che lavoro faccia il tizio in questione e la Nostra quindi decide di porgli la fatidica domanda “che lavoro fai?”. “Produco film porno tedeschi”, l’imprevedibile risposta. Ecco, il resto l’hanno fatto 2 bottiglie di vino, qualche arrosticino e una lunga chiacchierata con il buon Gianluca Morozzi alla festa dell’unità di Bologna.

Alberto Petrelli scrittore e musicista, infatti suoni il basso nella band ferrarese dei Blutarsky. Ci puoi dire com’è nata la tua passione per la scrittura? Per ciò che concerne invece la musica, come vedi lo scenario attuale delle band undergound in questo momento, ci parli della tua esperienza?

Più che per la scrittura, l’amore è per la lettura: a sedici anni Salinger è stato il colpo di fulmine, poi da li in poi un fiume di autori più o meno famosi che, oltre ad accrescere la mia passione, mi hanno insegnato anche a scribacchiare. Così una decina di anni fa ho iniziato a scrivere qualche raccontino, le famose Albo Story, episodi di vita vissuta di un giovane universitario, nulla di speciale (anche se qualcosina la ritroverete nel libro), e ho avuto la fortuna di conoscere Gianluca, che ne ha letto qualcuno di quelli messi a morire li tra le mie note di Facebook e mi ha spronato a continuare. E… ho continuato!
La musica Underground ferrarese, nonostante molti pensino il contrario, la trovo ben viva e in salute e ci sono band che meriterebbero un palcoscenico ben più ampio di quello meramente provinciale: gruppi come Not The Pilot, Devocka, il progetto musicale del buon Artan sono i primi che mi vengono in mente. Ma anche i Dance With The Bear, i DoRobot e i Maltempo. Tra parentesi, anche se lo sanno in pochi, abbiamo una scena hard rock/metal invidiabile, anche a livello internazionale. Per quanto riguarda i Blutarsky, direi che siamo una band in evoluzione: abbiamo da poco cambiato il batterista e stiamo iniziando a registrare il primo album dopo un demo che pare sia stato molto apprezzato… vedremo!

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sto iniziando a scrivere il seguito del primo romanzo, che ha già un titolo, un inizio e una fine. Diciamo che è solo da riempire. Le tematiche saranno completamente differenti da quelle de I Dolori del Giovane Imbuto, ma spero di riuscire a strappare ancora qualche risata.

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04/11/15 I passeggeri del mese # , , , , ,

I passeggeri del mese: Paolo Roversi

I passeggeri del mese: Paolo Roversi

Oggi parliamo con grande piacere con Paolo Roversi, classe 1975, mantovano d’origine. Giallista, è uno degli esponenti del cosiddetto noir metropolitano. Ha collaborato con riviste e giornali come Corriere della Sera, Rolling Stone, Diario, Detective Magazine, Stilos e InScena Magazine. Ha scritto soggetti per la televisione come ad esempio per la serie dieci e undici di Distretto di Polizia. È fondatore e direttore della rassegna dedicata al giallo e al noir NebbiaGialla Suzzara Noir Festival che si svolge dal 2007 ogni primo week-end di febbraio a Suzzara e del Milano in Bionda nato nel 2008. Nel 2010 ha ideato il Premio NebbiaGialla per la letteratura noir e poliziesca. Dirige il web press e casa editrice digitale MilanoNera, sito dedicato interamente alla letteratura gialla. Ha vinto la 4ª edizione del Premio Camaiore di Letteratura Gialla con il romanzo La mano sinistra del diavolo. Con lo stesso titolo è stato finalista del Premio Fedeli 2007. Il suo ultimo romanzo Solo il tempo di morire, edito Marsilio, è stato finalista del Premio Bancarella 2015.
Vive a Milano e i suoi romanzi sono tradotti in Spagna, Francia, Germania e Stati Uniti.

Chi è Paolo Roversi?

Uno scrittore appassionato di tecnologia e di serie tv americane. Ma anche una persona curiosa di raccontare, e di farsi raccontare, storie sempre nuove.
Nel tuo ultimo romanzo Solo il tempo di morire, con il quale sei stato finalista del Premio Bancarella, ci racconti la Milano criminale, persa tra quella che era la Milano da bere delle mille luci e opportunità e quella grigio piombo dei quartieri di periferia dove negli anni ’70 hanno cominciato a muovere i primi passi le bande di malavitosi locali. Ci puoi raccontare il perché tu ti sia voluto misurare con questo tema?
Il milieu criminale meneghino mi ha sempre affascinato. L’occasione, però, che ha fatto scattare in me il desiderio di raccontare l’epopea di quei banditi è stato l’incontro diretto con alcuni di loro: due “reduci” della banda Osoppo e con Luciano Lutring, il solista del mitra. Dopo averli sentiti parlare ho iniziato a interessarmi alle loro gesta e a quelle dei criminali di quegli anni: Cavallero, i Marsigliesi, Vallanzasca, Turatello, Epaminonda… Ne sono venuti fuori due libri, il dittico della città rossa, “Milano Crminale” e “Solo il tempo di morire” entrambi pubblicati da Marsilio in cui racconto la storia della mala milanese dal 1958 al 1984.
L’evoluzione dei criminali, da compagni di “batteria” per svaligiare qualche banca sino a veri e propri padroni della città è cambiata in questi anni, come secondo te?
Moltissimo. Ormai quella criminalità non esiste più. Tutto è cambiato, anche la città. Oggi si ruba in guanti bianchi, coi computer, e non si spara più.
Oltre a essere un grande autore sei anche l’anima di MilanoNera e del Festival NebbiaGialla di Suzzara. Puoi parlarci di come sono nate queste esperienze? 
Entrambe le iniziative nascono dalla mia passione per il giallo. MilanoNera, nata nel 2006, è diventata uno delle realtà web sul giallo e noir più importanti in Italia. Abbiamo pubblicato migliaia di recensioni e interviste. E continuiamo a pubblicarne al ritmo di una al giorno. NebbiaGialla, invece, è nato nel 2007 e nel 2016 festeggerà la sua decima edizione. Una scommessa vinta per me. Con gli anni è cresciuto e da festival di una piccola città di provincia si è trasformato in un festival del noir internazionale dove sono di casa autori del calibro di Maurizio De Giovanni, Donato Carrisi, Lars Kepler e Wulf Dorn. Una grandissima soddisfazione.
Qual è lo stato dell’arte della letteratura giallo/noir ora nel nostro Paese?
Direi che abbiamo moltissimi giallisti, forse anche di più rispetto ai lettori di giallo. Sto esagerando naturalmente ma il mio auspicio è che questa cosa si riequilibrasse un poco: la sovrapproduzione penalizza tutti.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sto scrivendo il nuovo romanzo con protagonista il mio giornalista hacker Enrico Radeschi. Sarà in libreria nel 2016.
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20/10/15 I passeggeri del mese # , , , ,

I passeggeri del mese: Valerio Varesi

I passeggeri del mese: Valerio Varesi

Oggi parliamo con grande piacere con Valerio Varesi, nato a Torino nel 1958, vive a Parma e lavora nella redazione de La Repubblica di Bologna. Creatore del commissario Soneri, protagonista dei romanzi che hanno ispirato la serie televisiva “Nebbie e delitti” con Luca Barbareschi. I suoi romanzi sono tradotti all’estero e nel 2011 è stato finalista al CWA International Dagger. Lo stato di ebbrezza (ed. Frassinelli) è il suo ultimo romanzo.

Chi è Valerio Varesi?

Come posso definirmi? Uno scrittore prestato al giornalismo il quale non sa di che farsene? Oppure uno che, lavorando in un giornale, attinge personaggi e situazioni destinate a diventare muscoli e ossa dei suoi racconti? Oppure ancora, un individuo sensibile che, dentro il flusso della cronaca, si impressiona come una pellicola e restituisce immagini sintetiche di quel che gli passa sotto gli occhi cercando di coglierne il senso visto che la cronaca, un senso, molto spesso non ce l’ha? Un po’ di tutto questo.

Nel tuo ultimo romanzo “Lo stato di ebbrezza” possiamo dire che, oltre a Domenico Nanni, la grande protagonista sia l’Italia? Ci racconti, con una chiave tragicomica, gli ultimi trent’anni del nostro Paese. Da Ustica agli ultimi atti del craxismo, dall’ascesa di Berlusconi e della Lega Nord, passando per le stragi di mafia, sino a posare gli occhi su uno scandalo finanziario imponente come quello della Parmalat. Quali credi siano state le falle nel sistema che abbiano permesso a politici spesso inadeguati di rischiare di compromettere il nostro Paese? Quale visione hai del sistema Italia?

Il dramma italiano, ma non solo italiano, direi di tutto il mondo occidentale, è una gravissima crisi culturale. Si pensa che il problema sia l’economia che non funziona più in preda al mercato selvaggio, ma la realtà è un’altra. La politica, e quindi le idee, in definitiva la cultura, s’è eclissata dopo la morte delle ideologie. Col crollo dei Paesi comunisti, sono crollate anche le narrazioni della storia, comprese quelle che si opponevano al collettivismo sovietico. In questo vuoto ha fatto irruzione l’economia, vale a dire i grandi potentati che controllano la finanza e gran parte dell’impresa, quella sopravvissuta alla finanza stessa. Senza più un “contratto sociale”, senza più idee e cultura a imbrigliare i più divoranti istinti del mercato, quest’ultimo ha preso il posto della politica improntando la nostra vita ed erigendo il valore di scambio a unico parametro regolatore. Ma il mercato senza briglie crea mostruose disumanità, cancella ogni forma di democrazia e alla fine si autodistrugge come abbiamo visto con la crisi dei “subprime”. In Italia tutto questo si è tradotto in una danza farsesca. Agli artifici della finanza, si sono aggiunti gli artifici degli imbonitori di una politica fasulla. Alla realtà si è sostituita l’invenzione.

Domenico Nanni è giornalista, come vive la sua professione il tuo protagonista? Quale credi sia lo stato di salute del giornalismo e dell’informazione in Italia oggi?

Nanni è stato per poco tempo giornalista. Quando ha capito che c’era di meglio per sviluppare il suo talento, ha sposato la professione del “pierre” e del pubblicitario, cioè colui che vende fumo e fa acrobazie con parole e immagini. Il giornalismo stampato ha cominciato a decadere con la tragedia del Vermicino, quando la televisione ha mostrato la sua potenza invasiva e la sua capacità di raccontare i fatti nel momento in cui accadono. Oggi il giornalismo è molto ancillare e autoreferenziale. Non c’è più la voglia di scoprire, di sondare il nuovo. Il web ha poi trasformato la professione. Oggi il lettore, “guarda le figure” e non legge che qualche titolo o beve didascalia. Ci si allinea alla superficialità dell’istante senza passato né futuro oggi predominante.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Sentiremo parlare presto del tuo commissario Soneri?

Soneri non morirà, questo è certo. Il prossimo libro non è ancora definito. Potrebbe essere un romanzo sulla modernità, un noir o un’avventura del mio commissario.

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09/10/15 I passeggeri del mese # , , , , , , , , ,

I passeggeri del mese: Piergiorgio Pulixi

I passeggeri del mese: Piergiorgio Pulixi

Oggi parliamo con grande piacere con Piergiorgio Pulixi, nato a Cagliari nel 1982. Fa parte del collettivo di scrittura Sabot creato da Massimo Carlotto di cui è allievo. Insieme allo stesso Carlotto e ai Sabot ha pubblicato Perdas de Fogu, (edizioni E/O 2008), e singolarmente il romanzo sulla schiavitù sessuale Un amore sporco inserito nel trittico noir Donne a Perdere (Edizioni E/O 2010). È autore della saga poliziesca di Biagio Mazzeo iniziata col noir Una brutta storia (Edizioni E/O 2012), miglior noir del 2012 per i blog Noir italiano e 50/50 Thriller, e finalista al Premio Camaiore 2013, e proseguita con La notte delle pantere (Edizioni E/O 2014). Nel 2014 per Rizzoli ha pubblicato anche il romanzo Padre Nostro e il thriller psicologico L’appuntamento (Edizioni E/O), miglior thriller 2014 per i lettori di 50/50 Thriller. Nel 2015 ha dato alle stampe Il Canto degli innocenti (Edizioni E/O) primo libro della serie thriller I Canti del Male. Dal 22 ottobre uscirà Per sempre (edizioni E/O 2015), il nuovo capitolo della saga di Biagio Mazzeo.
Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati sul Manifesto, Left, Micromega e Svolgimento, e in diverse antologie. I suoi romanzi sono in corso di pubblicazione negli Stati Uniti, Canada, e Regno Unito.

Chi è Piergiorgio Pulixi?

Circoscrivendo l’ambito alla mia professione (che è il motivo per cui ho l’onore di essere qui, con i tuoi lettori) è solo una persona che cerca di scrivere al meglio e di regalare ai suoi lettori storie travolgenti ed emozionanti. Appartengo a quell’insieme di autori che vive la scrittura come forma di artigianato, consapevole che solo il duro lavoro e la dedizione assoluta alle storie sono le uniche vie per raggiungere dei buoni risultati. Da questo punto di vista seguo la scia dell’esempio di quello che per me è un Maestro, Massimo Carlotto, alla cui scuola sono cresciuto artisticamente e umanamente. Tra le tante cose che ho imparato da Massimo, sicuramente l’etica del duro lavoro e la professionalità sono le pietre angolari della mia formazione autoriale, e in qualche modo personale.

Il tuo ultimo romanzo è “Il canto degli innocenti” pubblicato con Edizioni e/o, il primo di una saga che si preannuncia esplosiva con protagonista il detective Vito Strega. Ci puoi raccontare qualcosa su questo tuo nuovo progetto? Ci dici qualcosa di Strega, come hai costruito questo personaggio?

Sono sempre stato affascinato dal potere che il Male ha di lasciare un segno sulle persone, sia vittime, che “portatori del male” o persone che invece cercano di arginarlo, per mestiere o per vocazione. Il Male lascia un’impronta. Plasma. Cambia. Lascia cicatrici. E intendo il Male non in senso metafisico, ma come nucleo e al tempo stesso somma di tutte quelle azioni e comportamenti che hanno a che fare con la violenza, la prevaricazione, e gli aspetti più bui delle nostre anime e della nostra personalità, che siano di natura psicologica o sociologica. La serie nasce da questa domanda: come agisce e quante cicatrici può lasciare il Male sul cuore e l’anima di un uomo che per mestiere è costretto ad averci a che fare tutti i giorni? Esiste un limite, un confine di sopportazione per tutto quel buio, e se sì cosa succede se ci si trova a doverlo oltrepassare? La risposta è la serie “I Canti del Male”. Ogni romanzo, ogni Canto, racconta un aspetto diverso del mosaico della malvagità, e rappresenta anche un passo avanti in questo percorso di avvicinamento al Male del protagonista, Vito Strega, un poliziotto più filosofico che d’azione, che in questa “Odissea” verrà profondamente segnato dalle vicende che dovrà combattere. Strega sorpasserà quel confine dove la luce è solo un ricordo, e io, insieme ai lettori, assisteremo a cosa questo comporterà nella sua vita.

In “Una brutta storia” e ne “La notte delle pantere” ci hai raccontato la storia di Biagio Mazzeo, un poliziotto corrotto, ma che non manca di essere decorato da chi vive nelle stanze dei bottoni. Come lo definiresti?

Difficile rispondere. Il primo romanzo è uscito nel 2012 e ora sto scrivendo il quarto su questo personaggio. Ma in realtà Biagio è nella mia testa, da molto più tempo, credo dal 2009 o forse prima ancora. Quindi sono circa sei anni che ci convivo. Quando passi così tanto tempo in compagnia di un personaggio diventa in qualche modo parte di te, quindi è difficile essere oggettivi nella sua definizione. Posso dirti che è uomo per certi versi all’antica, con valori irremovibili coma la famiglia e l’onore che però cozzano col suo modo di fregiarsi del distintivo, che usa per imporre la sua “legge” o per semplice tornaconto personale. La cosa per me affascinante è il fatto che si fosse creato intorno un microcosmo, un piccolo mondo composto solo dai suoi colleghi e dalle loro famiglie, un mondo che poteva controllare e in cui le perturbazioni esterne venivano subito minimizzate o spazzate via. Ovviamente puoi capire che un personaggio che ragiona e vive gli affetti in questo modo è un uomo che dentro di sé ha un buco nero probabilmente irrisolto che ha a che fare proprio con quell’amore che è incapace di dimostrare in un modo normale. Le ferite psicologiche di Biagio, appena lo incontriamo nel primo volume, sono già innumerevoli. La sua forza e la sua arroganza cercano di nascondere queste sue debolezze. Ma è semplicemente un uomo machiavellico, molto intelligente e perfido, che però è vittima di se stesso e delle proprie scelte. Scelte che inevitabilmente avranno conseguenze nefaste sulle persone che gli stanno intorno, che sono complici o semplici vittime del suo carisma e di quel magnetismo animale che lo rende così affascinante e pericoloso allo stesso tempo. Per capire chi è Biagio si può anche guardare Donna, la sua amica d’infanzia e amante, che rappresenta il suo “doppio”, la sua versione femminile. Il loro è un amore impossibile forse proprio perché si assomigliano così tanto.
Dal punto di vista della Legge, e dei suoi superiori, invece, Mazzeo è un poliziotto molto utile. Non ha problemi a giocare sporco per imporre una “pax narcotica” nelle strade. Se Strega combatte col buio, Mazzeo nel buio non solo ci nuota, ma ci fa le Olimpiadi di stile libero. Non ha freni inibitori a livello morale, e non ha paura di niente. Può quindi essere manovrato per interessi che scavalcano la sua persona, e proprio per queste sue qualità è un elemento facilmente sacrificabile. Biagio Mazzeo manovra e viene manovrato con la stessa semplicità. Questa sua caratteristica lo rende molto appetibile non sono per i funzionari del dipartimento e i politici del Ministero, ma anche per altre persone: esponenti di spicco della criminalità organizzata.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Il mio progetto principale è quello di migliorare e dare ai lettori storie sempre più forti, migliori delle precedenti sotto ogni profilo. Questo mi porta a rimettere spesso in discussione anche progetti già avviati alla ricerca dell’idea o di quella intuizione che possa far saltare il lettore sulla sedia. Nell’immediato futuro, questo Ottobre uscirà per le Edizioni E/O il romanzo “Per sempre”, il terzo della serie di Mazzeo, che sarà seguito nel 2016, Maggio, dal quarto romanzo con cui si chiude il ciclo iniziato con “Una brutta storia”. La storia di Biagio Mazzeo non è tanto quella di un poliziotto corrotto, ma più un racconto sulle conseguenze che a volte un incontro ha sulla tua vita. La serie racconta l’effetto domino scaturito dall’incontro/scontro con Sergej Ivankov che avrà ripercussioni su tutti e quattro i libri della serie, cambiando profondamente il protagonista. Al tempo stesso sto lavorando sul secondo “Canto” della serie dei Canti del Male che spero esca presto, magari nel 2016 stesso, non so. Sto comunque battendo anche altre strade che esulano dal noir con progetti diversi: narrativa per ragazzi, sceneggiature, e un thriller che ha per protagonisti degli adolescenti che è quasi pronto. Contemporaneamente, scrivo parecchi racconti brevi che oltre a tenermi in allenamento mi permettono di tenere un rapporto costante con i lettori e un livello di scambio continuo, passo anche questo necessario e funzionale al mio miglioramento come narratore.

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21/09/15 I passeggeri del mese # , , ,

I passeggeri del mese: Valerio Piperata

I passeggeri del mese: Valerio Piperata

Oggi parliamo con grande piacere con Valerio Piperata, nato a Roma nel 1989. È studente di Lingua e letteratura russa alla Sapienza di Roma. “Le rockstar non sono morte”, uscito per Edizioni e/o, è il suo primo romanzo.

Chi è Valerio Piperata?

Sono uno studente di lingua e letteratura russa e inglese, venticinque anni, sono nato e vivo a Roma.

Il tuo romanzo “Le rockstar non sono morte” pubblicato per Edizioni e/o ci racconta la storia di Davide Fagiolo e della sua band. Com’è nata l’idea? Come ti sei approcciato al movimento musicale underground, fatto di band giovani piene di speranze?

L’idea è venuta dopo aver affrontato un percorso con la mia prima band (io suono la batteria). Abbiamo avuto una serie di disavventure, alcune comiche, altre tragiche, per cui, alla fine, ho pensato che potesse venirne fuori una storia dove ogni personaggio fosse una caricatura del reale, e ogni situazione spinta al paradosso, dove tendenzialmente si ridesse della miseria dei personaggi.
Ho avuto modo di conoscere le varie costellazioni di gruppi underground, per lo più romane, andandole a vedere ai concerti nei locali di periferia, suonandoci insieme, incontrandoli nei locali dove suonavano i “gruppi grossi”, scrivendone le recensioni sulle webzine. Ci sono comunque, specialmente nell’ultimo periodo, diversi gruppi che meriterebbero un pubblico più vasto.

Cosa senti di consigliare alle band musicali agli esordi che hanno nel cassetto il sogno di esibirsi un giorno davanti al grande pubblico? Secondo te il movimento musicale ha caratteristiche simili a quello della letteratura o sono mondi troppo differenti per poterne fare un confronto?

Consigli in assoluto non ne ho, non so neanche se esistano, ma posso parlare per quello che mi ha insegnato e sta continuando ad insegnare la mia tanto piccola quanto insignificante – ma reale – esperienza nella musica: se fai una band, e hai anche soltanto la sensazione che ci sia un briciolo di talento, di intelligenza, di nuovo, allora è il caso che, con entusiasmo, ci si faccia le date gratis nei locali di merda del tuo quartiere, si apra i concerti alle altre band, ci si metta su un furgone e si vada in giro per l’Italia a portare le proprie canzoni in giro. Fare un disco anche è essenziale, ovviamente, ma più per i locali che devono farti suonare che per la gente, che comunque la tua musica può trovarla ovunque su internet. Comunque, se tutto questo non porta niente nei primi anni, cosa quasi scontata, si deve andare avanti, farsi un pubblico man mano sempre più grande e poi, forse, riuscire a pagarti l’affitto e le bollette coi concerti, che oggi credo sia il nuovo significato di “successo”.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Scrivere romanzi.

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11/09/15 I passeggeri del mese # , , , ,

I passeggeri del mese: Massimo Padua

I passeggeri del mese: Massimo Padua

Oggi parliamo con grandissimo piacere con Massimo Padua ravennate classe 1972. Ha pubblicato “La luce blu delle margherite” (Fernandel, 2005; II ed. 2010), “L’eco delle conchiglie di vetro” (Bacchilega, 2008), il mystery/noir “L’ipotetica assenza delle ombre” (Voras, 2009; Fernandel, 2015), la raccolta di racconti “Si sta facendo buio” (Voras, 2011), “A un passo dalla luna piena” (Fernandel, 2014), la serie thriller/horror a puntate “L’abbandono” (Lettere Animate, 2014/2015) e la silloge di poesie “Con pelle di spine” (Gilgamesh, 2015). È presente in diverse antologie, tra le quali “Racconti nella rete” (Nottetempo, 2008), “Io mi ricordo” (Einaudi, 2009) e “Per le strade di Roma” (Ensemble, 2014). È direttore editoriale della collana di narrativa mystery/noir “Oscura” per Antonio Tombolini Editore.

Chi è Massimo Padua?

Diciamo che sono un tipo solitario che allo stesso tempo ama stare in compagnia. Qualche volta, però, le persone delle quali mi circondo sono fatte di carta e inchiostro. L’importante è distinguere i due “gruppi”.

“L’ipotetica assenza delle ombre” è la storia di Marco uno scrittore in crisi che eredita una casa dal misterioso Signor Newman. Questo romanzo è appena uscito in una nuova edizione per Fernandel, ci racconti qualcosa di questo tuo progetto?

“L’ipotetica assenza delle ombre” è un romanzo dalle tinte fosche che è nato sgomitando, ha preteso tutta la mia attenzione e mi ha costretto a una dedizione che, forse, non avevo mai sperimentato prima. È stato pubblicato per la prima volta nell’autunno del 2009 dalla Voras edizioni ed è andato esaurito quasi subito, tanto da meritare un paio di ristampe. All’epoca, i “miei” lettori sono rimasti sorpresi: dopo i toni più delicati delle pubblicazioni precedenti, si sono ritrovati a leggere una storia densa di misteri e dalle atmosfere che viravano decisamente verso il noir. Ma a me non sono mai piaciute le etichette e, soprattutto, non mi lascio imbrigliare da un genere. Mi piace spaziare e scrivere le storie che, secondo me, meritano di essere raccontate. Il romanzo, comunque, mi ha dato grandi soddisfazioni (che poi sono tutto quello che si cerca, in fondo), ha vinto con mia grande sorpresa il Premio Perelà per il romanzo edito e pare non aver ancora terminato la sua corsa. Adesso Fernandel, l’editore con il quale ho esordito nel 2005 con “La luce blu delle margherite” e che ha continuato a credere in me con “A un passo dalla luna piena” dell’anno scorso, ha voluto recuperarlo. Inutile dire che gli sono grato, anche perché la storia di Marco e della casa del signor Newman è ancora viva, come se l’avessi scritta ieri. È un piacere tornare a parlarne.

“A un passo dalla luna piena” è un romanzo intenso, duro che sa emozionare e lascia senza respiro. Mi puoi raccontare come hai costruito la trama? Il personaggio di Simone è incredibilmente maturo per la sua tenera età, ci racconti questo personaggio e il suo modo di rapportarsi con la madre?

Ho covato questo romanzo per anni. Volevo raccontare una storia quotidiana, un piccolo grande dramma, un testo che si allontanasse dai temi che di solito prediligo. Ogni singolo capitolo è stato, per me, una scoperta. Diciamo che mi sono lasciato andare senza condizionamenti, senza pensare troppo a come avrebbero reagito eventuali lettori. In questo modo mi sono trovato tra le mani una storia che si può definire “normale”, almeno nelle prime due parti, ma che a poco a poco costringe i personaggi a discendere in un abisso dal quale uscire indenni non sarà così semplice. Il rapporto tra Simone e la madre, verso la quale il bambino ripone una fiducia che tende a sgretolarsi, rischia di essere compromesso per sempre fino a un finale solo all’apparenza rassicurante. Purtroppo il marcio si annida spesso dietro ciò che consideriamo accettabile e, viceversa, ciò che ci appare come pericoloso può rivelarsi l’unica strada per la salvezza. Non è stato semplice entrare nella psicologia dei personaggi di questo romanzo perché tutti nascondono un lato ambiguo, esattamente come la luna con le sue fasi.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Oltre alla nuova edizione de “L’ipotetica assenza delle ombre”, in questi giorni è in uscita la mia prima silloge di poesie. Si intitola “Con pelle di spine” ed è pubblicata dalla Gilgamesh, una casa editrice che ha amato moltissimo il mio lavoro e che ha voluto investire su questo progetto. Poi ho un paio di romanzi in cerca di editori: una storia per ragazzi – un’esperienza che mi ha divertito – e un “quasi horror” che mi piacerebbe vedere pubblicato l’anno prossimo. Adesso sto lavorando alla stesura di due nuovi progetti, ancora una volta molto diversi tra loro. Nel frattempo collaboro con Antonio Tombolini editore in veste di curatore della collana di narrativa noir/mystery “Oscura”. Diciamo che non mi annoio…

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Fazzoletto da tasca colorato, occhiali sulla punta del naso per darmi un tono, centomila idee nelle tasche e bollicine nel bicchiere. Questo sono io.
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