START READING
17/11/10 L'ultima stazione del mio treno

Tutto, niente, quasi tutto.

Tutto, niente, quasi tutto.
Tutto si indossa.

Vestiti.

Occhiali.

Maschere.

Anche il proprio nome e la propria vita.

Ma come tutto, anche la propria vita e il proprio nome bisogna “saperli portare”.
0 likes no responses
16/11/10 L'ultima stazione del mio treno

Nebbia e nicotina

Nebbia e nicotina
Via D’Azeglio con la nebbia, il salotto di Bologna avvolto in una coltre fredda e fastidiosa. Camminarci in mezzo è come essere in apnea. Griffe costose. Ragazzine sboccate imbalsamate nei loro abiti con firma. Professionisti che si danno un tono, solo perchè hanno un cappio colorato al collo e una ventiquattr’ore. La stanchezza che ognuno di noi sente è perchè queste cose le avverte, magari non distintamente, ma sa che qualcosa non va come dovrebbe. 
Mi accendo una sigaretta di fronte ad un locale: giovani che fanno aperitivi, vecchi che fanno aperitivi.
Arrivi sempre a quel punto in cui ti chiedi cosa ti manca, cosa ti abbia fatto diventare uno sputasentenze, cosa ti abbia portato a scrivere, cosa invece ti abbia fatto smettere di prendere la vita con quella leggerezza che sa di incoscienza, ma così non è! Perchè prendere la vita leggermente non vuol dire vivere a spanne, non vuol dire che se “campi a quarti d’ora”, come me, sei un irresponsabile. Vuol dire che la vita scappa via, vuol dire che te la vuoi tenere stretta, vuol dire che ne vuoi cogliere ogni attimo. Vuoi scriverlo. Vuol dire che non ti imbarazzi a stare fermo in una strada a respirare nicotina e nebbia e goderti le vite degli altri. La tua, di vita, va bene così. Ti senti vivo e pieno di energia anche solo attraverso gli occhi e le sensazioni che provi.

Nebbia e nicotina.

E tanti auguri al moralismo. 

E tanti auguri al qualunquismo. 

E tanti auguri a chi ha il sorriso da ebete.

E tanti auguri a chi ci sta crepando in questo paese di merda.
0 likes one response
15/11/10 L'ultima stazione del mio treno

Il mio occhio sinistro

Il mio occhio sinistro
Un occhio non è solo un organo. 

Un occhio non è solo uno specchio.

Un occhio non è solo il colore della sua iride.

Un occhio non si cela dietro un occhiale.

Gli occhi sono quello che tu decidi siano.

Il mio occhio destro pensa.

Il mio occhio sinistro no. 

Il mio occhio sinistro è cattivo.
0 likes no responses
13/11/10 L'ultima stazione del mio treno

Piove

Piove

Quando piove te ne vai. Guardi indietro e te ne vai. Cosa vedi? Questo è il problema. L’impossibilità di essere obiettivo nel momento della tua fuga. Spesso, le fughe, sono atti vili, sono atto di rinuncia, alzate di spalle,.


Certe volte, invece, è solo una presa d’atto, della totale mancanza di prospettive. 


Fai la valigia. Piove merda dal cielo.


Fai la valigia. Piovono lacrime dal tuo presente.


Fai la valigia. Piovono parole dalla tua bocca.


Fermati, quando non hai più nulla da dire.

0 likes no responses
12/11/10 L'ultima stazione del mio treno

Viaggi in disordine

Viaggi in disordine

Qua non si parla di viaggi di relax, qua non si parla di vacanze. Qua si parla d’altro: di cambiamento, di voglia di esplorare, di ricostruirsi, di cambiare, di trovarsi e di trovare.


Sì, perchè io la penso proprio così: solo con un viaggio, solo partendo da un punto A e girando nell’orizzonte che scegliamo di vedere si possono rimettere a posto le cose che abbiamo dentro, le cose in disordine, le vite in disordine.


Ci sarebbe poi da discutere sul concetto di ordine: ordine e disciplina, ordine morale, ordine mentale, ordine della propria scrivania, della propria vita, del cazzo che ti pare.


Ma l’ordine vero, che cos’è? Tutte le cose al loro posto? Un’agenda perfettamente compilata? Un planning eccellente e attendibile al millesimo di secondo? 


NO!


L’ordine è avere un orizzonte.


L’ordine è sapere come ti chiami ad ogni ora del giorno.


L’ordine è svegliarsi nel letto giusto.


L’ordine è smettere, ma ripartire.


L’ordine sei tu. 


Il disordine sono gli altri.

0 likes no responses
11/11/10 L'ultima stazione del mio treno

L’ultimo passo

L’ultimo passo
La pioggia bagna il mio cappotto mentre scendo dal taxi. Pago il dovuto al mio autista, mentre lui scarica dal portabagagli le mie valige. “La ringrazio!”, lui mi sorride, “Faccia buon viaggio!”. Mi incammino verso l’entrata dell’aeroporto di Bologna, come al solito sono in anticipo: il mio check-in aprirà fra mezz’ora. Oggi è il 4 Gennaio e fra meno di tre ore la mia vita cambierà. 

Decido di attendere prima di entrare nel terminal: mi accendo una sigaretta. E’ l’ultima del mio pacchetto. Ho deciso di smettere: questa volta faccio sul serio. Credo. Aspiro profondamente, voglio godermela. Per la vita che andrò a fare il fumo non mi servirà. Spero. 

Lancio lontano il mozzicone, non ne ho fumata neanche metà, ed entro nel terminal. Guardo subito il tabellone del mio volo, noto che il check-in è appena cominciato. Mi avvicino: stranamente sono il primo. La hostess mi saluta gentilmente, ricambio con poco garbo, ultimamente non sorrido, ho un unico tono di voce: seccato e scostante. 

Completo le operazioni, imbarco le mie valige e tengo con me il mio bagaglio a mano: la valigetta del laptop. 

Prendo la scala mobile per andare al secondo piano dove ci sono i gate per gli imbarchi, di fronte a me c’è un bar: è carino, moderno, mi piace. Entro e chiedo un caffè. 

Il caffè è sempre una delle cose che più mi mancano quando vado all’estero. Più del cibo, più dei panorami, più delle vie della mia città, più dei miei genitori e di tutte quelle persone inutili che mi sono trascinato dietro per anni. Un buon caffè è quello che mi manca. Decido di assaporarlo: sorsi piccoli, occhi chiusi. 

Chiudere gli occhi, però, non è stata una buona idea: la mia mente mi fa vedere cose che non voglio ricordare. Finisco, indispettito, in un unico sorso quello che rimane nella tazzina. Tutto è la rovina di tutto. Questa è una frase che da qualche tempo mi ripeto. 

Scappo da questa vita come un amante scoperto che fugge dal retro: con vergogna, con dolore, con il senso del piacere rimasto frustrato. 

Vado a sedermi di fronte all’ingresso del mio gate. Ho la testa bassa, la barba e i capelli lunghi. Indosso un cappotto nero, molto elegante, un maglione di cachemire grigio, camicia azzurra, pantalone marrone molto stretto e scarpe eleganti nere. Ho un bellissimo paio di occhiali neri, montatura grossa: un affettuoso regalo. Ho deciso di portare con me alcuni oggetti per ricordare: questi occhiali, un libro, una sciarpa, un’agenda e una coperta di lana. 

Tutte le altre cose, eccetto i miei vestiti, le ho regalate o buttate via. La scorsa notte ho bruciato i quattro libri che ho scritto e circa un centinaio fra racconti e poesie. Ho giurato che non scriverò mai più! 

Fra un’ora il mio volo decollerà. Sono estremamente nervoso. Mi mangio le unghie. Mi accarezzo la barba, i capelli, quasi come a farmi delle coccole affettuose. Sono incazzato, furioso, dentro di me sono assolutamente fuori controllo. 

Improvvisamente ho un conato di vomito, devo assolutamente correre in bagno! Dopo pochi secondi mi ritrovo in ginocchio davanti a una tazza bianchissima e sorprendentemente pulita: rimetto. Mi contorco, lo stomaco mi fa un male assurdo, sembra quasi che mi stiano prendendo a pugni. Assieme al vomito escono lacrime e singhiozzi, sono crollato, completamente: lo sospettavo. 

Dopo un paio di minuti riesco a darmi un contegno. Metto il viso sotto il getto dell’acqua fredda di un lavandino. Respiro. Esco dal bagno e vedo che stanno imbarcando il mio volo. La mia voce, per una volta, più veloce dei miei pensieri: “E sia!”. Fra poco, probabilmente, senza neanche rendermene conto atterrerò a Londra Gatwick. 

Cinquanta passi mi separano da un’altra vita. Alla mia destra un bidone della spazzatura: getto via il mio cellulare e la mia sim card. Mi fermo per un istante, una lieve esitazione, forse una strana sensazione. 

Trenta passi. In lontananza rumore di tacchi. Una donna che corre. 

Venti passi. Sento urlare verso il fondo del lungo corridoio. 

Dieci passi, documenti in mano. Il mio nome urlato come non ho mai sentito. 

Cinque passi. Due anime fanno a pugni dentro la mia testa. “E’ troppo tardi!”, dice una, “La ami!”, dice l’altra. 

Un passo e niente sarà come prima. Quello che i miei occhi avranno davanti da ora sarà il frutto dell’orgoglio o di quel che di umano è rimasto in me.
0 likes no responses
11/11/10 L'ultima stazione del mio treno

Linee ferroviarie

Linee ferroviarie

Mi sono seduto su una panchina, con il biglietto del treno in mano, con i sogni dietro gli occhi e con tutti i miei dubbi, lì, accanto a me, sulla mia valigia.
Oggi parto per un viaggio, salirò sul mio treno, fino alla sua ultima stazione. Voglio ricominciare a scegliere, a decidere, ad avere peso specifico con l’altra parte di  me stesso.
Inseguito dai miei perchè, rincorro i miei perchè no.

Il treno è arrivato, guardandomi attorno salgo, trovo il mio posto e mi tolgo la giacca: amo viaggiare comodo.

Le carrozze iniziano a muoversi, siamo partiti, voglio la mia stazione, voglio le mie risposte. Accendo il mio laptop, ho una storia da scrivere, la mia? Quella di tutti noi?

0 likes no responses
Fazzoletto da tasca colorato, occhiali sulla punta del naso per darmi un tono, centomila idee nelle tasche e bollicine nel bicchiere. Questo sono io.
Drammi Quotidiani on Twitter
Archivi
1 48 49 50 51