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18/01/11 L'ultima stazione del mio treno

Le colpe e le virtù dei padri

Le colpe e le virtù dei padri

Figlio mio,

ti scrivo oggi, quando non esisti ancora, nella speranza di conoscerti, un giorno di questa vita. Ti scrivo da giovane, finchè ho tempo, prima che il lavoro o altre cose (speriamo di no) mi tolgano tempo da dedicarti quando ti conoscerò. Oggi penso che quando arriverai sarai il mio successo più grande, più di qualunque laurea, di un libro pubblicato, di una determinata ragazza da poter amare; spero tu sia il frutto dell’amore vero e sincero di due persone che vogliono fare un percorso lungo una vita e dedicare a te ogni attenzione che meriti, senza dimenticare mai quanto sei stato desiderato.

Ti scrivo oggi anche perchè quando parleremo, quando sarai adolescente o anche dopo, io probabilmente mi sarò dimenticato di com’era vivere a quell’età e di quanto fosse difficile essere capiti dai genitori.

Spero che sarai bravo negli studi, che conoscerai presto l’amore, che ti faccia soffrire poco e che ogni tanto vorrai parlarne con me. Spero che non ti perderai in qualche buia strada della vita, ma sappi che se succederà sarò pronto a cercarti e a riportarti sulla via della luce.

Spero ti piacerà viaggiare e conoscere, leggere e esplorare. Ma anche se non sarai così, sarai sempre mio figlio ed è questo quello che conta. Spero non ti dimenticherai mai di me, anche se magari ci saranno giorni in cui sarai capace di odiarmi.

Ora ti saluto, aspettando con impazienza il giorno in cui sarò pronto ad accoglierti.
Con tutto l’affetto,

tuo padre
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08/01/11 L'ultima stazione del mio treno

Apple pie

Apple pie
Il segreto è nell’impasto mi disse un giorno mia madre. Nelle male che scegli, nel come le disponi.

Le torte di mele parlano di case, parlano di famiglie e di situazioni “cosy”, direbbero gli inglesi. 

Le torte di mele accolgono, non separano.

Le torte di mele raccontano storie, non fanno domande.

Le torte di mele sono un “unusual” network.


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30/12/10 L'ultima stazione del mio treno

2011

2011
Complimenti. 

Quello che stai guardando, che stai sognando, che desideri, che credi riuscirai a fare, che credi si realizzerà, che ti proponi di fare: le diete, la palestra, la fidanzata, il fidanzato, un viaggio, diventare intelligente, smettere di essere idiota (sembra uguale alla precedente ma non lo è), scrivere un best seller, fare un corso di inglese e ogni altra cazzata tu possa pensare…

Complimenti.

Tutto questo non esiste.

Beh, per non togliervi le stupide speranze per un domani migliore: tutto questo non esiste, se vi siete dimenticati di vivere fino ad oggi.

Il 2011 è un numero. Da solo è l’unione di altre inutili cifre. Scatola vuota di vite alternative rimaste dietro il confine dell’immaginato.

La vita non è bella. Noi lo siamo.
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23/12/10 L'ultima stazione del mio treno

Natale

Natale
Sono stanco.

Sorridete. Finchè c’è tempo.

Dopo le feste vi portano via pure il sorriso.

Sorridete. 

Babbo Natale non esiste.

Io non sono il Grinch.

Neanche il Grinch esiste.

Sono il fantasma del Natale passato.

Il vostro regalo? Guardarvi dentro.

I miei auguri? regalarvi un consiglio.

Tanti auguri.
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14/12/10 L'ultima stazione del mio treno

La mia città, ogni volta la vedo diversa

La mia città, ogni volta la vedo diversa

La notte di Bologna è buia, scura, misteriosa. Si rintana sotto l’abbraccio dei portici, nelle corti interne dei palazzi, negli angoli delle strade, dei vicoli, negli occhi socchiusi di chi, la notte, se la mangia, se la beve, se la fuma, se la scopa, se la sniffa.
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11/12/10 L'ultima stazione del mio treno

Come noi

Come noi

Ogni giorno muoio e ogni notte nasco di nuovo.


La facilità con cui tutto cambia e si trasforma in una squallida copia di quello che era è imbarazzante.


Felici?


Infelici?


Tutto è in quella zona fra ombra e luce, sottile, indecifrabile. Si rintana nelle parole delle persone interessanti e negli sguardi negati, in quelli rubati, in quelli consapevoli.


Ci sono condizioni nelle quali si farebbero follie, basterebbe un cenno, un assenso, non per dare abito a codardia, per salvarsi il culo se le cose non vanno nel verso giusto, un SI’ è l’equivalente del lo voglio anche io, del ci credo, del grazie di aver pensato a me.


Felici? 


Infelici?


Irrisolti. Come noi.

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06/12/10 L'ultima stazione del mio treno

Raccontatevi

Raccontatevi

Questa storia è come i trucchi degli illusionisti: c’è ma non si vede.


Questa è la storia di chi si ferma a pensare dietro un portone appena chiuso e di chi fa il primo passo verso casa avendo salutato chi, quel portone, lo ha appena varcato.


Tu che stai dietro quel portone, cosa pensi? Che è simpatico? Che sa parlare? Che cosa pensi? Lui, quello che cammina verso casa sotto una sottile pioggia vorrebbe saperlo. 


Tu che cammini, con la sigaretta fra le dita, che affretti il passo per non farti bagnare dalla pioggia, tu, a cosa pensi? Ai suoi capelli? Al sorriso storto che però affascina? A cosa pensi? Lei, che frettolosa ha chiuso il portone del suo palazzo, vorrebbe saperlo.


Voi due, fottuti imbecilli, schiavi del non detto. 

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04/12/10 L'ultima stazione del mio treno

Nudi in Piazza Maggiore

Nudi in Piazza Maggiore
Quell’attimo in cui non sai cosa dire.

Il primo momento di silenzio mentre sei seduto di fronte a una persona che piano piano stai conoscendo è forse la parte più importante di tutto.

Come reagisci. Come reagisce. Cosa comunicate col silenzio.

Il corpo e il silenzio si fondono e riescono a raccontare storie.

Per tutto il resto è come essere Nudi in Piazza Maggiore.
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30/11/10 L'ultima stazione del mio treno

Mario

Mario
La solitudine, Mario, tu la conoscevi bene. Come la conosco bene io. Come la conoscono in molti. Come molti la conosceranno. Non la si rinnega, la si vive e basta. 

Colpa nostra?

Colpa tua?

Pensaci su.

Ti saluto così, senza formalità.

Ciao!
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25/11/10 L'ultima stazione del mio treno

Fino all’ultimo lembo di carne

Fino all’ultimo lembo di carne
Mi accendo una sigaretta, odio questo vizio, forse è l’unico che ho che mi infastidisce, che mi fa preoccupare. Mi sistemo la cravatta nera sulla mia camicia bianca stirata di fresco, mi attende una serata interessante con il mio ospite, è nel salone, mi sta aspettando. Lo raggiungo, gli sorrido, gli stringo la mano, “Accomodati pure!”, gli indico la sedia, il tavolo è già apparecchiato: me ne sono occupato personalmente, così come delle pietanze per la cena.
Mentre attendiamo che il mio collaboratore domestico ci porti l’entrèe, un delizioso sformato di zucca su una salsa di grana, con salvia abbrustolita e una riduzione al balsamico, verso un calice di bollicine al mio commensale, un Franciacorta riserva che ho fatto arrivare proprio per l’occasione.
“Bon appetit!”, lo guardo compiaciuto, attendendo il suo giudizio sulla mia cucina, prende una porzione con la forchetta argentata e la intinge nella salsa, è un ragazzo di gusto, abituato alla buona tavola: non nascondo la felicità per la mia ottima scelta. Mentre gusta il suo boccone mi guarda, d’un tratto solleva il calice, “I miei complimenti, eccellente.”, sorrido, “Oh, mio caro , mi rallegra questo tuo gradimento, sapevo che avresti apprezzato!”, ora anche io posso iniziare la mia cena.
Durante la cena lui mi racconta alcuni avvenimenti della sua esistenza, quasi debba fare colpo su di me, la cosa mi indispettisce, ma lo lascio fare, non si nega un po’ di gloria, un po’ di voglia di raccontarsi, soprattutto a chi sta per morire.
Lo ascolto con calma, la nostra cena prosegue, brindiamo ancora, probabilmente sarà l’ultimo bicchiere per questo ragazzo, lui non lo sa, ma in questo vino pregiato c’è una droga, contro la quale io mi farò un’iniezione a breve, mentre lui cadrà in un sonno profondo.
Giusto il tempo di ringraziarmi per il cibo delizioso ed ecco il suo corpo che scivola lentamente dalla sedia al parquet del mio appartamento. Mi alzo dalla mia sedia, distendo i muscoli e vado a scegliere gli strumenti per la mia arte: penso che prenderò i miei coltelli più pregiati, è raro che io li usi, questa sera ho voglia di fare le cose in grande.
Quando rientro nel salone lo vedo completamente inerme, un ghigno di soddisfazione si stampa sul mio viso, decido di spogliarlo per poter lavorare meglio sul suo corpo. La sua pelle abbronzata e i suoi muscoli mi fanno provare invidia per la sua fisicità, prendo un bisturi ben affilato e inizio un’incisione sui muscoli delle gambe e nella zone tendinee delle ginocchia in modo da inibire ogni suo possibile movimento, ogni sua possibile velleità di fuga.
Ogni volta che uccido seguo sempre lo stesso iter, sono un abitudinario in ogni cosa, nei miei omicidi c’è sempre uno schema ricorrente, una firma, ma con mia evidente sorpresa nessuno li ha mai collegati fra loro, nessuno mi ha ancora scoperto, o sospettato; questo ragazzo sarà la mia vittima numero trenta: sono molto orgoglioso del mio lavoro.
Uccido ragazzi giovani, muscolosi, nel pieno della forma fisica, soprattutto per l’odio che nutro nei confronti dei corpi perfetti e sani, non come il mio: cagionevole, fragile, anche se sono dotato di una forza che sorprende spesso anche me stesso.
Il lavoro con le sue estremità inferiori è terminato, pulisco il sangue che sgorga copioso, ripongo il bisturi nella sua preziosa custodia, la cena non mi ha ancora saziato, prima di finire decido di fare il grande salto, quello che non ho mai fatto, penso per una naturale inibizione umana, i miei occhi fissano i suoi fianchi: oso? Posso osare? In questo momento, come sempre, mi sento come Dio, penso che Dio non possa negarsi nulla, quindi decido di osare, mi nutrirò di lui.
Il mio sguardo si trasforma, lo vedo riflesso nello specchio su una parete del salone, i miei occhi luccicano di vizio e perversione, mi avvicino lentamente, poi con uno scatto deciso affondo i miei denti nella sua carne, con forza, con violenza, ma da questo punto in poi nulla andrà come come sarebbe dovuto andare.
Il ragazzo urla, si è svegliato, qualcosa con il mix di droghe che gli ho somministrato non ha funzionato, sono sorpreso, spaventato: per la prima volta ho fatto un errore.
“Cosa mi stai facendo? Sei un pazzo!!” è ovviamente sconvolto, io sono al suo fianco, bloccato, incapace di una reazione, si è rotto lo schema e non me ne rendo ancora conto, il ragazzo prova ad alzarsi ma si rende subito conto della situazione delle sue gambe, devo subito alzarmi e prendere la mia pistola, devo ucciderlo immediatamente o sarò perduto.
Mentre provo ad alzarmi un colpo violento mi prende in pieno viso, la mia vittima mi ha sferrato un destro potente e ben assestato, cado all’indietro, stordito, la custodia grande dei miei coltelli cade a terra vicina a lui, mi lancio subito a recuperarla prima che lui possa estrarne uno: troppo tardi. Ne brandisce uno, uno dei più letali, la situazione precipita, lottiamo, ma lui ha la meglio, un fendente mi colpisce al collo, il sangue scorre sui miei vestiti, la mia ira è incontrollabile, riesco a colpirlo e a stordirlo per un attimo, una sciarpa gialla attira la mia attenzione: è del ragazzo. E’ la mia unica possibilità, gliela stringo al collo, ma lui si riprende, la nostra lotta continua, furiosa per alcuni istanti, finché finalmente cede, l’ultimo respiro lascia il suo corpo per sempre.

“Il resto è storia recente, caro commissario!”, l’uomo di fronte a me ha ascoltato pazientemente e in silenzio la mia ricostruzione dei fatti, ho deciso di confessare quando ho capito che non c’era più modo di uscirne, quando è stata mostrata quell’unica prova schiacciante, quell’oggetto che sancirà la mia condanna: quella dannata sciarpa gialla.
Quando ho gettato il corpo del ragazzo nel cassonetto ho commesso il fatale errore di pulirmi il sangue dal collo con quella sciarpa, con l’arma del delitto, purtroppo avevo perso lucidità nella lotta feroce di qualche istante prima, già intuivo che sarei stato vicino alla fine, ma non sono stato in grado di porvi rimedio. Forse ho voluto che mi trovassero, che capissero chi fossi e cosa avessi commesso in questi otto anni: ho confessato tutti i miei trenta omicidi, l’ubicazione dei poveri resti delle mie vittime e le modalità dei loro omicidi. Mi sono arreso, con piacere, a questo commissario così intelligente e scaltro, certo, ma anche aiutato da due miei grossolani errori.
“Direi che la nostra chiacchierata mio caro commissario è finita, le ho confessato tutto, quindi ora vorrei conferire con il mio legale e fumarmi una sigaretta in santa pace.”, lui mi guarda interdetto, “Scusi, ma crede di essere nella condizione di dettare legge? Non scherziamo, voglio sapere il perché? Mi dica cosa l’ha spinta a commettere queste brutalità!”, chiudo gli occhi e sospiro, “Commissario, avevamo iniziato così bene e ora lei mi offende?! No, ora non avrà più una mia parola fino all’arrivo del mio legale, sono spiacente!”, se ne va sbattendo i pugni sul tavolo.
Sono solo nella stanza degli interrogatori, mi accendo una sigaretta, quell’uomo non sa di aver commesso un errore imperdonabile.
Finisco di fumare e guardo la sciarpa gialla davanti a me, mia condanna e mia salvezza. Troveranno il mio corpo impiccato al termosifone, concludere la mia vita in questo modo mi dispiace, ma al momento non vedo vie d’uscita, pagherò i miei errori, ma non è della giustizia degli uomini che vado in cerca.

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Fazzoletto da tasca colorato, occhiali sulla punta del naso per darmi un tono, centomila idee nelle tasche e bollicine nel bicchiere. Questo sono io.
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