Paolo Panzacchi
L'ultima stazione del mio treno

Giunti Editore

24/06/15 I passeggeri del mese # , , , , ,

I passeggeri del mese: Elisabetta Cametti

I passeggeri del mese: Elisabetta Cametti

Oggi parliamo con grande piacere con Elisabetta Cametti, nata 1970 in una piccola località ai piedi del Monte Rosa. Si è laureata in Economia e Commercio e ha intrapreso la strada del marketing. Dopo circa vent’anni di esperienza in importanti multinazionali, ha scelto di dedicarsi alla sua passione di sempre iniziando così la carriera di scrittrice. Con Giunti ha pubblicato i primi due romanzi con protagonista Katherine Sinclaire, “K I guardiani della storia” e il più recente, “K Nel mare del tempo”.

Chi è Elisabetta Cametti?

Sono una donna che viaggia con due bagagli. Quello delle esperienze, che contiene la vita fino a qui vissuta: i traguardi raggiunti ma anche gli sbagli fatti, i momenti da ricordare così come le ferite subite. E quello dei sogni, in cui trovo la forza per non mollare mai.

Il tuo ultimo romanzo è “K Nel mare del tempo”, la protagonista è sempre Katherine Sinclaire, in queste pagine si conferma il forte legame con le civiltà del passato che hai voluto dare a questo tuo progetto, come già emergeva nel tuo primo lavoro “K I guardiani della storia”. Come mai questa scelta? Leggendo i tuoi romanzi si nota la ricchezza di dettagli con cui vengono descritti questi antichi popoli, ci racconti come svolgi e quanta importanza ha la attività di ricerca in tutto questo?

Mi diverte scrivere trame complesse, ricche di personaggi le cui storie si intrecciano, di misteri che mentre si dipanano conducono a nuovi enigmi, di cambi di rotta capaci di sorprendere. E ho voluto che in questa serie di romanzi emergesse una donna: Katherine. Una donna intensa, vera. L’avventura scaturisce proprio dalla volontà di unire l’alta tensione alle verità storiche, gli intrighi a luoghi inaccessibili, l’azione al sentimento. In K I guardiani della storia i protagonisti di sfondo sono gli etruschi. Per K Nel mare del tempo ho scelto il Medioevo e gli ittiti. Il Medioevo lo sentiamo seguendo le tracce di Angelica nei rifugi in cui si era nascosto Fra Dolcino, famoso eretico citato da Dante nell’Inferno, tra i seminatori di discordia. Gli ittiti nutrono la mia passione per i popoli dimenticati dalla storia. Sono vissuti tra il 1800 e il 700 a.C. in Anatolia, l’attuale Turchia. Erano abili guerrieri con smisurate brame espansionistiche ed esperti costruttori di città sotterranee. È stata l’archeologia moderna a portare alla luce templi, bassorilievi, ma soprattutto cinque biblioteche di trentamila tavolette di argilla scritte in un idioma che ha richiesto un secolo di studi per essere decifrato. L’approfondimento è una delle fasi fondamentali per la stesura di un romanzo. E anche una delle più stimolanti. Una volta scelto il periodo storico, leggo quanto disponibile sull’argomento e mi faccio aiutare da esperti. Però non studio solo la storia dei periodi trattati, ma mi affascina investigare su tutti i temi. Così se Patrick Wilde è un archeologo appassionato di nuove tecnologie, esamino gli ultimi rapporti dell’Air Force americana per l’impiego di onde radio che inviate nella ionosfera rimbalzano a terra e consentono di scoprire cavità o bunker sotterranei. Se Isaac Sion vuole capire i segreti nascosti in un dipinto antico mi documento sui metodi scientifici all’avanguardia per l’analisi delle opere d’arte. E in questi giorni sto cercando di districarmi nell’ingarbugliata rete degli hacker. Nulla è lasciato al caso e per me è importante che il lettore lo percepisca.

Kathrine Sinclaire è stata accostata a Robert Langdon, il personaggio di Dan Brown. E’ un paragone che ti piace? Quanto di te c’è in Katherine?

Dan Brown ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Significa che ha saputo interessare lettori con abitudini, esperienze e culture diverse. Non è facile, non è da tutti. Che dire? È un paragone che profuma di buono. Katherine come me vive di momenti: non guarda mai al passato, non carica il futuro di troppe attese e cerca di dare un senso al presente. Qualsiasi cosa succeda, non smette mai di sognare… perché il tempo dedicato a costruire i sogni ha la forza di rendere possibile l’impossibile. In Katherine le mie esperienze si fondono con le mie aspirazioni. Katherine è la parte di me che non vede ostacoli, che non si preoccupa delle conseguenze. La mia voce amplificata all’ennesima potenza per urlare i valori in cui credo.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

La pubblicazione di una nuova serie di thriller, con una nuova protagonista, sempre con una K nel nome. E la trasposizione cinematografica di K I guardiani della storia e K Nel mare del tempo.

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03/04/15 I passeggeri del mese # , , , ,

I passeggeri del mese: Simona Baldelli

I passeggeri del mese: Simona Baldelli

Oggi parliamo con piacere con Simona Baldelli scrittrice nata a Pesaro, oggi vive a Roma. Il suo esordio è del 2013 con “Evelina e le fate”,  romanzo finalista al Premio Calvino e vincitore Premio John Fante opera prima. Il tempo bambino è il suo secondo romanzo uscito nel 2014. Entrambi i romanzi sono editi Giunti.

Chi è Simona Baldelli?

Va bene, ti rispondo in terza persona, come i matti: “Simona Baldelli nasce a Pesaro, là dove le Marche sfumano nella Romagna.E viceversa. Sa tirare la sfoglia a mano, impastare piadine, fare passatelli. Ha due cagne, Cippa e Olga, che la obbligano ad alzarsi all’alba per andare a scorrazzare per parchi e stagni, e a mettersi al computer ad un’ora decente. Questi, i tratti salienti, il resto è mera cronologia. Ha un diploma d’attrice, esperienze in teatro, radio e cinema. Si occupa anche di regia e drammaturgia. Disordinata per natura e propensione, mette a frutto questa preziosa dote nell’organizzazione di manifestazione ed eventi che, va a capire come, porta comunque a termine. Ama la parola, (pensata, detta, letta, scritta, evocata).” Ho dato un’idea?

Il tuo ultimo romanzo, “Il tempo bambino” edito Giunti, ci racconta una storia di solitudine e di fragilità. Attraverso gli occhi di un uomo che aggiusta orologi e gli occhi di bambine che hanno un’infanzia difficile che le costringe a diventare grandi troppo in fretta. Ci puoi parlare del rapporto tra Mister Giovedì e Regina?

Il rapporto fra i due protagonisti nasce dal bisogno di raccontare che non sempre le famiglie sono un luogo di cura e di amore e che non è vero che “son tutte le belle le mamme del mondo”. Esistono, purtroppo con una certa frequenza, famiglie dove ci si passa di mano in mano il testimone del dolore, una tragica staffetta che a volte finisce negli orrori della cronaca. A volte sono vittime i bambini, a volte madri, mogli, sorelle. Ho voluto inoltre fare una riflessione sull’infanzia, su come la vediamo, in alcuni casi sfruttiamo, le nostre proiezioni sul futuro, insomma. Per raccontare questa realtà “altra” ho cercato di costruire uno spazio molto circoscritto all’interno del quale chiudere tutti i personaggi e richiedendo, al lettore, una buona dose di immedesimazione e di immaginazione, come fossero parte della vicenda. Il lavoro di “immaginazione” (come se i lettori fossero attori che si muovono sulla scena insieme ai personaggi del libro) potremmo riassumerlo così. Immaginiamo quello spazio che, per ogni bambino, rappresenta il mondo. Uno spazio fatto di persone e sentimenti. Aspettative e sogni. Fiducia, rispetto. Un luogo dove le paure diventano sicurezze e, i dubbi, certezze. Dove imparare a diventare grandi. Immaginiamolo confortevole, quello spazio. Abitato da persone sagge, amorevoli e benevole. Che ci proteggono dal buio e da ciò che cattivo. Immaginiamo, per un attimo, che non sia così.Togliamo, in quello spazio, la fiducia e il rispetto. Lasciamo che le paure e i dubbi rimangano tali. Leviamo, ma così, per puro gioco, le persone amorevoli e sagge. Facciamo che restino il buio e le cose cattive. E adesso immaginiamo qualcuno, (io lo chiamo Mr. Giovedì), che è vissuto in uno spazio simile. Per tanto, molto tempo. Un tempo che è passato lento, così lento che non è ancora finito, da non diventare grandi mai. Mr. Giovedì, però, ha imparato a dominarlo, il tempo. L’ha tagliato, sminuzzato, pesato e stimato. Aggiusta e ricostruisce orologi. Mr. Giovedì oggi è un uomo adulto, anche se ha cominciato a rattrappirsi e ha ancora paura del buio. E poi c’è la Regina, che è ancora piccola, anche se vorrebbe sembrare più grande. E lei, invece, vorrebbe che il tempo corresse veloce. Noi non sappiamo se la Regina ha abitato uno spazio amorevole oppure no. Sappiamo solo che ha paura dell’insalata e che non ha mai assaggiato pane, burro e zucchero. E che ha le unghie laccate. Un giorno, si incontrano, fuori dal tempo che noi conosciamo, diverso da quello che abbiamo imparato a sezionare in ore, minuti e secondi. Un tempo che ha alternanze diverse e uniche. È il tempo bambino.

Il tuo primo romanzo “Evelina e le fate”, edito sempre da Giunti, è stato tra i finalisti del Premio Calvino nel 2012 e vincitore del Premio John Fante Opera Prima 2013. Ci puoi raccontare com’è nato questo progetto?

Evelina e le fate, è una storia che mi appartiene da sempre. Evelina è mia madre e, nel ’44, anno in cui è ambientato il mio libro, aveva esattamente cinque anni, come la protagonista della storia. Tutto quello che racconto (fate incluse!) è realmente accaduto o a lei, o ad altre persone che conosco e che ho inserito nella vicenda; il paese descritto, Candelara, è lo stesso in cui mia madre è nata e cresciuta e il casolare dove Evelina vive con la famiglia è esattamente quello in cui è vissuta e che io stessa ho più volte visitato. La voglia di raccontare questa storia mi è venuta qualche anno fa, quando si cominciava a parlare delle celebrazioni per il 150mo dell’Unità d’Italia. Vedendo e ascoltando le molte reticenze al riguardo, i distinguo sull’opportunità o meno di celebrare quella data, le differenze fra chi era “più” o “meno” italiano di altri, ho provato una rabbia grandissima che mi ha fatto decidere di contribuire a quell’evento, nel mio piccolo, raccontando e ricordando uno di quei centocinquanta anni. Per altro, una delle pagine fondanti e principali della storia moderna del nostro Paese. Ma poiché ogni autore che scrive un romanzo “storico”, lo utilizza a metafora del proprio tempo, ho raccontato fatti accaduti settanta anni fa, con la precisa intenzione di parlare di “oggi”.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Scrivere. Sono davvero convinta che il tempo degli scrittori si divida esattamente in due parti: la prima è dedicata alla scrittura, la seconda al tempo che si passa a sognare ad occhi aperti le storie che metteremo su carta. In concreto, sono alle prese con il mio prossimo romanzo che dovrebbe essere pubblicato ad inizio 2016.

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20/12/14 I passeggeri del mese # , , ,

I passeggeri del mese: Grazia Verasani

I passeggeri del mese: Grazia Verasani

Oggi parliamo con grande piacere con Grazia Verasani, scrittrice e cantautrice bolognese. Sono già dieci anni che Grazia ci ha consegnato il suo personaggio più noto,Giorgia Cantini che, sin da “Quo vadis baby?”, è stata in grado di catturare l’attenzione e affascinare i lettori.

Chi è Grazia Verasani?

In questo momento è una donna è stanca. Come ogni volta che le esce un libro nuovo e va su e giù per parlarne. E’ una donna che crede nella lealtà, nell’amicizia, nella buona politica, nella giustizia sociale, e che fatica a vivere in un paese dove arte e cultura hanno poco rilievo. E’ una donna con un passato intenso alle spalle, visto anche il mezzo secolo raggiunto. Una donna che legge tantissimo, che ama il cinema, la musica, il teatro e le belle persone. Una donna che vorrebbe sempre vivere altrove, ma poi resta qui e prova a capire. Una donna che ride molto, forse per non piangere.

Da poco è uscito il tuo ultimo lavoro, “Mare d’inverno”, edito Giunti, una bellissima storia, dolce e amara. Vera, Carmen e Agnese. Un romanzo dove c’è molta ironia, matura, educata, mai banale. Quante donne ci sono come le protagoniste del tuo ultimo romanzo? Sono donne forti che hanno perso questa consapevolezza?

Io racconto le donne che conosco, che vedo, che vivo, che amo, che frequento. Racconto anche gli uomini, ma forse conosco meglio le donne. Sono donne forti perché sanno riconoscere le proprie fragilità, non le nascondono. Sono vere. Nel senso che esulano da ogni tipo di stereotipo. Sono inquiete e contraddittorie, sanno togliersi le maschere e giocare a carte scoperte. O almeno ci provano.

Lo scorso anno è uscito “Accordi minori” per Gallucci, nel quale hai dipinto ritratti bellissimi di musicisti indimenticabili come Kurt Cobain, Jeff Buckley, Janis Joplin, Tenco e altri grandi. Un tuo lavoro legato indiscutibilmente alla musica, altra arte nella quale hai saputo dare grande prova di abilità, sin dagli inizi con la vittoria al Premio Recanati nel 1995. Musica e narrativa. Quale di questi mondi senti a te più vicino?

La musica è la forma d’arte che sento più immediata, anche quando ha un suo linguaggio complesso. E’ tutto ciò che riesce a esprimersi anche senza le parole, e in questo forse è più emozionale, viscerale, commovente. I libri invece mi fanno riflettere, mi indicano delle strade. Non potrei vivere senza ascoltare musica e leggere libri. Poi scrivere, nel mio caso, è diventata una cosa di cui vivere, la musica no. Ma seguo con attenzione i progetti di amici musicisti che stimo.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

A settembre uscirà per Feltrinelli il quinto romanzo con Giorgia Cantini.

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Fazzoletto da tasca colorato, occhiali sulla punta del naso per darmi un tono, centomila idee nelle tasche e bollicine nel bicchiere. Questo sono io.
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