Paolo Panzacchi
L'ultima stazione del mio treno

L’ultima stazione del mio treno

11/05/15 L'ultima stazione del mio treno

Cielo

Cielo

Se il mondo non ti basta bevi il tuo cielo e portalo dentro di te.

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28/04/15 L'ultima stazione del mio treno

Attese

Attese

Quel che si attende è troppo spesso solo quello che si desidera.

Quello che avremo fra le dita sarà lo sgretolarsi di un vecchio sogno preso in prestito da chi non sapeva cosa farsene.

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23/04/15 L'ultima stazione del mio treno

L’onda lunga

L’onda lunga

I passi pesanti di chi torna a casa dopo una lunga giornata urlano forte sotto i portici, sui marciapiedi, negli androni dei palazzi, sui pianerottoli davanti agli appartamenti. I passi pensanti di chi torna a casa urlano storie belle e drammi quotidiani. I passi pensanti di chi torna a casa si perdono nelle ombre e nell’onda lunga che tutto trascina e sbatte sopra morbidi giacigli, in attesa del momento perfetto che è l’ultimo respiro prima di dimenticare tutto e attendere la luce del sole col suo primo caldo raggio sulla pelle. Un altro giorno, altre storie, drammi e tutto ciò che è fra la luce e l’ombra, sì, ancora quell’ombra. La nostra, dannata, maledetta, che non possiamo dimenticare.

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15/04/15 L'ultima stazione del mio treno

All work and no play makes me a dull boy.

All work and no play makes me a dull boy.

All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy. All work and no play makes me a dull boy.

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14/04/15 L'ultima stazione del mio treno

Sliding doors

Sliding doors

Il vero problema di certe porte è che a volte si aprono.

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06/04/15 L'ultima stazione del mio treno

La mia Bologna

La mia Bologna

Bella e dolce Bologna! Vi ho passato sette anni, forse i più belli.” (Pier Paolo Pasolini)

Bologna. Quando mi chiedono quale sia la mia città rispondo così. Per carità, all’anagrafe risulto nato a Sassuolo, produttivo centro del modenese, e risiedo a Ferrara. Sassuolo non l’ho mai vista, ci ho passato solamente un giorno e poco più quando ho visto la luce. Ferrara? Beh la città estense è stata una scelta coniugale. Bologna? Sotto le due torri ho trascorso trent’anni, per scherzo dico sempre che potrebbero intitolarmi una delle palle in Piazza Santo Stefano davanti alle sette chiese.

Quando rispondo ‘Bologna’ alla domanda che vi accennavo prima, il nome della mia città lo pronuncio con un sospiro, come si fa con quello della donna amata, come si fa con il nome della propria mamma o del proprio padre. Bologna è una di famiglia, non è solo la città in cui si abita.

Perché noi bolognesi siamo così, la nostra città la consideriamo un po’ come una seconda madre. Guccini nell’omonima canzone dice della città: “Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po’ molli col seno sul piano padano ed il culo sui colli.”. Un’idea senza dubbio materna, che rende bene il concetto e ne fa comprendere il suo essere una realtà molto florida, non solo per chi vi nasca, ma anche per chi vi intenda stabilirsi, anche solo per brevi periodi. Credo che se ne abbia una visione materna anche per la presenza dei portici, lunghi, interminabili, più di cinquanta chilometri se contiamo anche quelli al di fuori del centro storico, capillari, protettivi e forti, proprio come le braccia di una madre sempre pronta a sostenerci, a stringerci e a proteggerci. Dalla pioggia, dal caldo con la loro ombra, dalla neve, dai pericoli, dalla paura.

Stendhal, nel suo ‘Voyages en Italie’ del 1826 ci regala una sua bellissima e molto condivisibile impressione su questi portici: “Sovente, alle due di notte, rientrando nel mio alloggio, a Bologna, attraverso questi lunghi portici, l’anima esaltata da quei begli occhi che avevo appena visto, passando davanti a quei palazzi di cui, con le sue grandi ombre, la luna disegnava le masse, mi succedeva di fermarmi, oppresso dalla felicità, per dirmi: Com’è bello!”.

La storia dei portici risale al 1288, quando un editto comunale stabiliva che le nuove abitazioni avrebbero dovuto sorgere corredate del porticato che tanta fortuna porterà alla nostra città, il tutto pensato per accogliere un maggior numero di studenti presso la più antica Università del continente e per far sviluppare il commercio. Io ho una visione molto personale che è ben differente, ma che ben s’incardina nelle note caratteriali di noi bolognesi. I portici sono nati per assecondare la curiosità e l’essere espansivo del bolognese tipico, il porticato tende a non far disperdere le persone, le raggruppa, le fa incontrare e rende possibile il dialogo, il fare due parole, par fer dau ciacar. Per rintanarsi in un bar.

Noi bolognesi andiamo spesso al bar, ci piace. Ci andiamo per parlare di sport, di politica, di gnocca, di lavoro, di quel che c’è da dire. Quando ero un cinnazzo, a tredici anni, entrai per la prima volta al Bar Otello in Via Degli Orefici, in quello che è sempre stato un grande punto di ritrovo dei tifosi rossoblu. Ci entrai il giorno in cui comprai il Corriere dello Sport Stadio, ‘quello verde’ dicevo sempre all’edicolante per farmi capire meglio, e vidi l’annuncio dell’ingaggio di Roberto Baggio come nuovo fantasista del Bologna Football Club. Ci entrai per vedere come fosse stata accolta la notizia dai tifosi storici, da quelli over cinquanta, o anche sessanta e più.

In quel bar c’era tutto il fermento che desideravo, c’erano orde di umarells, orde, che discutevano, litigavano, si dividevano. ‘Bollito’, ‘Campione’, ‘Fighetta’, ‘Lu lè l’è fort, etar chè!’, ‘Mo va là, l’è un bagaj adés!’. Ecco, noi bolognesi siamo anche così. La squadra di calcio della nostra città ingaggia un giocatore che può fregiarsi di aver vinto un Pallone d’oro e noi ci dividiamo, litighiamo, sparasecoliamo. Noi bolognesi, a volte, siamo un po’ dei ‘mai goduti’, ma è poi il nostro bello. Accapigliarsi un po’, discutere fra vecchi amici e poi chiedere al barista due frizzantini e brindare per sancire una tregua.

Noi bolognesi siamo tante cose, non solo cose belle però. Ci sono stati anni difficili, nei quali nella nostra città si è sparato, ci si è ammazzati, sono esplose bombe. Ci sono stati anni in cui si credeva la nostra Bologna fosse stata ferita a morte, sfregiata per sempre, ma noi bolognesi ci siamo tirati su le maniche e abbracciati un po’ più forte, sempre più uniti e siamo andati avanti.

Bologna è anche figlia della musica suonata da tanti suoi figli, illustri o meno. Grandi cantautori, gruppi che hanno fatto la storia o truppe scalcinate che hanno mosso i primi passi nelle sale prove impolverate della periferia. Musica leggera, rock duro e tanta allegria.

Lo sport ha sempre avuto un grande peso in città. Calcio, basket e anche il baseball. Il basket ha visto la città dividersi in due fazioni: quelli delle ‘Vu nere’ e quelli della ‘F’, Virtus e Fortitudo. Due grandi squadre che hanno dato vita a memorabili scontri non solo di rilevanza cittadina, ma nazionale. Finali scudetto e di Coppa Italia. Chi non ha poi amato di noi bolognesi i colori rossoblu? Il Bologna Calcio, come diceva Barile, storico tifoso, ‘è una fede’ e lo è per davvero, molti anni bui nell’epoca moderna e troppe poche luci.

A Bologna c’è il mondo intero come mi è sempre piaciuto dire. L’università è la grande porta dalla quale miriadi di ragazzi si sono affacciati sui nostri bei tetti rossi, guardando il verde intenso e profondo delle nostre colline e condividendo con noi momenti speciali che solo una città così piena di vita avrebbe potuto regalare.

Noi bolognesi, così accoglienti, ospitali e sempre pronti ad aggiungere un piatto in più alla nostra tavola.

Noi bolognesi, gente orgogliosa e fiera della propria città, ma senza mai esagerare, sempre col sorriso sulle labbra.

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18/03/15 L'ultima stazione del mio treno

L’uomo al bar

L’uomo al bar

C’era un uomo una volta, seduto al bancone di un bar. L’ho guardato, non beveva, non parlava, era fermo, immobile. Così è rimasto per circa un’ora, io dovevo uscire, avevo un appuntamento, ma prima di andarmene mi avvicinai e, ricordando una frase di Bukowski gli dissi “Se succede qualcosa di brutto si beve per dimenticare. Se succede qualcosa di bello si beve per festeggiare. E se non succede niente? Si beve per far succedere qualcosa.”.

Poi me ne andai.

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09/03/15 L'ultima stazione del mio treno

Nulla

Nulla

“Non c’è il nulla. Zero non esiste. Ogni cosa è qualche cosa. Niente non è niente.”. Victor Hugo avrebbe dovuto conoscere i nostri tempi, questa frase non l’avrebbe mai detta.

Siamo la nullità fatta uomo. Figli di divinità decadenti, sfinite e ridotte a brandelli dal vuoto da loro stesse creato.

L’inutile rantolo. Noi.

Che noia.

Cambiamo canale.

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05/03/15 L'ultima stazione del mio treno

Nascosto

Nascosto

Ciò che è nascosto agli occhi può non esserlo a una mente sveglia.

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28/02/15 L'ultima stazione del mio treno

L’uomo nero

L’uomo nero

Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna.

Dietro un uomo nero, c’è sempre un bambino del passato che piange.

Inconsolabile.

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Fazzoletto da tasca colorato, occhiali sulla punta del naso per darmi un tono, centomila idee nelle tasche e bollicine nel bicchiere. Questo sono io.
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